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L’economia che serve ad allenare la vista e a fare domande scomode

di Alberto Mingardi

2' di lettura

Perché dovremmo sforzarci di acquisire qualche basilare nozione di economia? «Con il miglioramento delle condizioni di vita è aumentato anche l’interesse per gli studi economici (…) Ora siamo consapevoli che la possibilità di allentare i vincoli di scarsità dipende dalla nostra capacità di evitare gli sprechi e di creare nuova ricchezza attraverso il progresso tecnologico e l’impegno imprenditoriale». Se negli ultimi 250 anni, perlomeno in Occidente, abbiamo raggiunto una prosperità prima inimmaginabile, «pensare da economisti» ci serve proprio per capire come essa sia stata possibile, e per evitare di metterla a repentaglio. Con questo suo L’economia che serve, Enrico Colombatto (Ordinario di Economia Politica all’Università di Torino) corre in aiuto anche del lettore più digiuno. Il libro (pubblicato in inglese da Routledge) non s’attarda in sbandieramenti d’erudizione ma illumina idee e concetti con chiarezza appassionata e appassionante.

Gli esseri umani tendono tutti a provare a migliorare la propria situazione: per questa ragione, «il ruolo dell’interesse personale in senso ampio è evidente», nell’analisi del loro comportamento. Più difficile è decrittare cosa i governi intendano con «interesse comune»: un po’ perché non c’è necessariamente consenso su che cosa esso effettivamente sia, un po’ perché a interpretarlo e attuarlo sono sempre persone in carne e ossa, ciascuna con il proprio punto di vista e, per l’appunto, ciascuna con i propri interessi.

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L’economia che serve è quella che non se ne dimentica mai, e pertanto aiuta anche ad orientarsi fra le proposte avanzate dai diversi gruppi e partiti politici. Colombatto non risparmia domande scomode («ha senso analizzare la crescita di un Paese nel suo complesso piuttosto che per i singoli individui? La felicità individuale è un concetto chiaro, ma che cosa s’intende per felicità di un Paese?») e presenta con onestà intellettuale anche le risposte altrui. La storia economica è sempre sullo sfondo, nella consapevolezza che non bisogna spiegare la povertà (che degli uomini è la condizione naturale) ma «la ricchezza delle nazioni».

Per capire la crescita, bisogna guardare a progresso tecnologico e istituzioni. Il primo è l’esito della complessa interazione fra aumento dello stock di conoscenze, migliorie tecniche, spirito imprenditoriale che sa tradurle in «prodotti». «Il contesto istituzionale fa la differenza tra una società che riesce a tradurre le opportunità tecnologiche in (…) crescita». Le istituzioni «buone», però, bisogna imparare a riconoscerle. Per esempio, «istituzioni favorevoli al commercio scoraggiano i produttori interni dal cercare privilegi nei loro Paesi di origine, e li inducono a impegnarsi in iniziative imprenditoriali di lungo periodo premianti in un contesto globale».

Una determinata regola non produce solo gli effetti dichiarati e visibili, ma anche tutta una serie di altre conseguenze, buone o cattive, ma forse più importanti anche se nascoste. Pagina dopo pagina, Colombatto ci aiuta ad allenare la vista.

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