L’economista eretico vicino a Francesco: «Il mercato? È una pseudo teologia falsa»
Gaël Giraud, gesuita, matematico, ha avuto una vocazione tardiva dopo avere lavorato nelle banche d’affari internazionali. Ora rivede i modelli economici e ne studia di alternativi
di Paolo Bricco
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«I tre voti sono povertà, castità e obbedienza. Per me il più difficile da rispettare è l’obbedienza». Gaël Giraud, 52 anni, è un gesuita. Ha avuto una vocazione tardiva. È entrato nella Compagnia di Gesù a trentaquattro anni. È diventato sacerdote a quarantatré.
Prima ha lavorato nelle banche d’affari: «Stavo per diventare un operativo. Mi occupavo di modelli matematici applicati alle scelte di business e di investimento. Vivevo fra Parigi e New York. Un giorno in banca mi chiesero di trasferirmi definitivamente a New York per fare il trader a Wall Street. La tentazione fu grande. In banca, nei primi anni Duemila, quel cambiamento di posizione equivaleva al raggiungimento di una grande prosperità economica personale. Nella finanza gli stipendi erano altissimi e, soprattutto, i bonus garantiti dalle banche al raggiungimento dei risultati ti potevano rendere ricco. Ne parlai anche con la mia fidanzata di allora. Decisi per il no. Non me ne sono mai pentito», racconta.
Siamo a Roma da Matermatuta, un ristorante di pesce che si trova nel rione Monti. Il giardino interno è ricco di alberi e di piante. Il tavolo è appartato. Giraud ha un dottorato di ricerca in matematica conseguito alla Sorbona, a cui poi si è aggiunto quello in teologia preso al Centre Sèvres, l’università dei gesuiti a Parigi. È un economista. Giraud critica alcuni eccessi – o, meglio, alcuni errori – quantitativi. Ma soprattutto critica alcune astrazioni e alcuni postulati dell’economia neoclassica che – a suo avviso – ne rendono debole il metodo, fallaci le analisi e sbagliate le previsioni.
La sua costruzione concettuale non ha nulla di provinciale, moralistico e retorico, ma è ben integrata nei circuiti dell’accademia internazionale: Giraud insegna negli Stati Uniti a Washington alla Georgetown University, dove è suo collega alla McCourt School George Akerlof, premio Nobel per l’economia nel 2001.
Il suo pensiero è uno dei noccioli duri del tentativo operato dalla chiesa di Bergoglio di dotarsi di una visione economica alternativa, in grado di rendere l’economia un corpo vivo, una parte del tutto, un elemento innestato in altri elementi, come la valorizzazione e il rispetto dell’ambiente, a cui è dedicata l’enciclica di papa Francesco del 2015 Laudato si’, in cui la cura della casa comune (l’ambiente) fa il paio con la cura degli altri (gli esseri umani).
«Qui è bellissimo», dice osservando le piante che adornano il giardino e gli alberi che lo circondano. «Come ho conosciuto Bergoglio? È successo per caso. A noi gesuiti è vietato cercare un contatto diretto con il papa. Sennò lui, che è gesuita, non vivrebbe più. Nel 2018 alcuni ambientalisti francesi, sia cattolici sia laici, mi chiesero, dopo avere letto i miei libri sulla transizione ecologica, di accompagnarli a Roma a una udienza dal Santo Padre, dove io potessi portare il mio contributo», spiega mentre mi porge una copia del suo ultimo libro, La rivoluzione dolce della transizione ecologica. Come costruire un futuro possibile, pubblicato in Italia dalla Libreria Editrice Vaticana.
Per antipasto il cameriere ci porta degli scampi, dei gamberi rossi e dei gamberi viola.
Lui prende anche un carpaccio di pescato con della misticanza, delle erbette aromatiche e olio agli agrumi. Io, invece, scelgo un fiore di zucca, con baccalà mantecato e crema di peperoni arrosto.
Nell’aria, intorno a noi, c’è la dolcezza che sanno esprimere le sere di Roma fra la fine di settembre e i primi di ottobre.
Gaël è una persona estremamente complessa. Non è complicata. Perché è molto lineare nei suoi comportamenti, nelle sue elaborazioni, nel suo modo di fare. Non sembrano in lui esistere doppi fondi o ambiguità sostanziali che non siano quelle che naturalmente appartengono a ogni essere umano. È però una persona complessa. E tranquilla. Ma fatica a uniformarsi al pensiero prevalente fissato dagli altri e deve usare molto impegno per rimanere, con equilibrio, nelle gerarchie.
È nato e cresciuto a Parigi, nel quindicesimo arrondissement: «Oggi è un quartiere bobo, abitato da bourgeois bohemian, ma quando io ero piccolo era un quartiere operaio, che viveva intorno alla fabbrica della Citroën. Ho ancora negli occhi gli operai in tuta blu che bevono caffè e vino ai banconi dei bar. Mio padre Antoine era un architetto e un pittore. Mia madre Yvette era, anche lei, architetta. Lavoravano insieme. Lei si arrabbiava tantissimo con lui perché non si faceva mai pagare. Non riusciva proprio a farlo. Era un artista. Per lui tutto era dono. Soltanto che, poi, lei doveva fare tornare i conti a casa».
Già prima dell’ingresso nella Compagnia di Gesù, Gaël ha avuto esperienze non ordinarie.
«Una delle cose più importanti nella mia vita – racconta mentre beve acqua minerale – sono stati i due anni, fra il 1995 e il 1997, che ho trascorso in Ciad, nella città di Sahr. Sahr si trova nella savana. Intorno la natura è selvaggia. Elefanti e giraffe, ippopotami e rinoceronti. Nella città la vita non è semplice. Io ho scelto di non abitare nei compound per i bianchi, che sono un mondo a parte in cui si vive agiatamente ovunque in Africa. Ho preferito una casa africana, senza luce e senza acqua. Da volontario laico, ho insegnato in un liceo dei gesuiti matematica e fisica a ragazzi fra i quindici e i diciotto anni. La mia casa era aperta. Accoglievo i bambini di strada che vivevano senza famiglia e che campavano di stenti e espedienti. Ogni mattina, prima di andare a insegnare, preparavo la colazione a chiunque di loro la desiderasse. La vita è strana e bellissima. Quando, rientrato in Europa, mi sono dedicato alla ricerca al Cnrs, il Centre national de la recherche scientifique, e all’insegnamento alla Sorbona, il primo studente di cui ho seguito a Parigi la dissertazione per il PhD in economia matematica era un ragazzo del Ciad, mio allievo al liceo
dei gesuiti di Sahr».
I camerieri gli portano vermicelli con le cozze al pesto di cime di rapa. Io, invece, prendo spaghetti alle vongole. Con il primo beviamo un calice di vino dell’Alto Adige, il Cosmas 2021, un Sauvignon blanc. Nel 2015 lui è stato nominato capo economista dell’Agence française de développement, l’organismo statale dedicato allo sviluppo dei Paesi più poveri.
Sottolinea Giraud: «La mia critica è duplice. È teorica nei confronti dell’economia neoclassica. Ed è pratica verso i meccanismi di funzionamento dei mercati. L’economia neoclassica usa una matematica troppo elementare. La teoria dell’equilibrio è semplicistica. Bisogna usare i sistemi che si adoperano nella fisica e nella chimica, che considerano ogni variabile rispetto alle altre, in un movimento dinamico e non lineare. Dobbiamo adattare i modelli alla realtà e non piegare la realtà ai modelli. La matematica più complessa serve il primo intento. La rigidità delle ipotesi poste dall’economia neoclassica, come il paradigma delle aspettative razionali, serve invece a piegare la realtà ai modelli».
Quindi, in Giraud non esiste un generico rifiuto dei metodi quantitativi. Anzi, per lui la matematica va usata di più e meglio. La sua è una voce critica doppia. Non solo ermeneutica. Ma anche concreta: «So qual è la differenza fra la complessità del reale e i presupposti di razionalità che vengono teorizzati nei modelli dell’economia neoclassica e che vengono dichiarati nelle procedure e nelle compliance delle istituzioni finanziarie. Io ho lavorato nelle banche. Le istituzioni finanziarie sono organismi burocratici che tendono ad autoperpetuarsi. E che spesso fanno esattamente ciò che, secondo i principi di razionalità, non dovrebbero fare».
Il pesce è molto buono. Prendiamo entrambi del pescato del giorno al vino bianco e ai carciofi. Due anni fa alla Georgetown Giraud ha fondato l’Environmental Justice Program: sedici studiosi – economisti, matematici, filosofi, sociologi, biologi – elaborano modelli ibridi e sistemi dinamici in cui gli scenari economici vengono determinati dai cambiamenti climatici e dalla geofisica: «Pensiamo alle riserve dei minerali. Immaginiamo quello che capiterà all’economia internazionale nel 2060, quando vi sarà il picco dell’estrazione del rame, che è essenziale per il funzionamento delle nostre società».
Per ora, però, il modello è focalizzato soprattutto sul rapporto fra economia e ambiente. A Georgetown il gruppo di Giraud ha analizzato l’economia del sud degli Stati Uniti: «Nel 2075 il Texas, la Florida e la California subiranno una desertificazione naturale che avrà ripercussioni demografiche, economiche e migratorie. Gli equilibri interni agli Stati Uniti si deterioreranno. Le sedi locali della Federal Reserve si sono interessate a questi risultati. E, ora, anche la Division Financial Stability, che supporta il board della Federal Reserve a Washington, vuole lavorare sul nostro modello».
Arrivano i caffè. È troppo tardi, nella serata romana, per indulgere in dessert e in vini dolci. «La cosa che mi ha più stupito è avere toccato con mano, sia dal punto di vista astratto che pratico, la trasformazione del mercato in un idolo pagano. Il mercato è onnisciente, onnipotente, benevolente, perfetto. Sono tutti attributi di Dio. Ma questa pseudo teologia moderna è falsa, non funziona e non fa bene agli uomini e alle donne», dice mentre si alza dal tavolo Gaël Giraud, uomo appassionato, matematico irrequieto, economista eretico.
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