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L’economista Neumark: «Il salario minimo coesiste con la contrattazione, non è una misura anti povertà»

In molte famiglie povere nessuno lavora. I bassi salari interessano anche la classe media

di Giorgio Pogliotti

David Neumark. Distinguished professor of economics Department of economics University of California, Irvine

4' di lettura

Professor Neumark, iniziamo da un aspetto particolarmente importante per la situazione italiana: possono coesistere il salario minimo legale ed una contrattazione collettiva diffusa?
La contrattazione collettiva e il salario minimo legale non sono necessariamente in contrasto tra loro. I due strumenti possono coesistere. Nella contrattazione è frequente la dinamica che vede i sindacati che cercano di alzare i salari e i datori di lavoro che non vogliono dare di più. Ma il salario minimo può rafforzare anche i sindacati. Lo abbiamo visto negli Usa dove in settori come quello dei rifiuti urbani c’erano molti lavoratori sindacalizzati, diverse amministrazioni locali hanno esternalizzato il servizio di pulizia ed i sindacati hanno fatto pressione perché riconoscessero il salario minimo ai contractors. In Italia molti accordi negoziali non piacciono ai sindacati più rappresentativi, ed alzando il salario minimo si possono eliminare i contratti con condizioni meno vantaggiose
per i lavoratori.

Lei studia da decenni il rapporto tra salario minimo e mercato del lavoro. Nel nostro Paese ha partecipato ad una serie di incontri presso la facoltà di economia della libera università di Bolzano, l’istituto Einaudi a Roma, le università Bocconi di Milano e Tor Vergata di Roma. In estrema sintesi: qual è il principale effetto del salario minimo legale?
Prima di tutto aumenta i salari per alcuni lavoratori. Ma solo se dopo che il salario minimo è aumentato, hai ancora il tuo lavoro e non hai avuto le tue ore di lavoro ridotte stai guadagnando più soldi. Quindi quei lavoratori stanno meglio.

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Intende dire che può esserci una relazione tra salario minimo legale e perdita dell’occupazione?
Almeno nel contesto statunitense, che è stato ampiamente studiato, e in alcuni paesi europei e in diversi paesi sviluppati si è registrata una certa perdita di posti di lavoro quando si aumenta il salario minimo, specie tra i lavoratori meno qualificati. Quando aumenti il costo del lavoro molti datori di lavoro possono cercare sostituti. Ma anche se ci sono perdite di posti, i benefici sono superiori. Anche le politiche dei cambiamenti climatici hanno un impatto negativo per chi lavora nel petrolio, ma ciò non vuol dire che si rinuncia alle politiche dei cambiamenti climatici. I benefici sono superiori.

Il salario minimo legale ha generato aspettative anche per il possibile impatto sulla lotta alla povertà. A suo avviso sono aspettative fondate?
Il salario minimo legale non fa nulla alla povertà. Dall’aumento di pochi centesimi del salario minimo può avere un beneficio una madre single, che magari è anche l’unica a lavorare nel nucleo familiare. Quindi in questo caso, se la madre mantiene il proprio lavoro con lo stesso numero di ore lavorate, con il salario minimo stai davvero aiutando una famiglia povera a guadagnare più soldi. Ma molti dei percettori del salario minimo appartengono alla classe media, come gli adolescenti che fanno i lavoretti, magari in un ristorante, o in un negozio al dettaglio. Il punto è che essere un lavoratore a basso salario ed essere in una famiglia a basso reddito non sono sempre così strettamente correlati. Ci sono molti lavoratori a basso salario in famiglie ad alto reddito. Mentre in molte famiglie a basso reddito non c’è nessun lavoratore. Il salario minimo si rivolge ai lavoratori con un basso salario, fissando una soglia sotto la quale non può essere pagato. È un errore cercare di risolvere un problema, il basso reddito familiare, con uno strumento che ha un target diverso. Non è così che si combatte la povertà
delle famiglie
.

Per la lotta alla povertà ritiene siano più efficaci delle politiche pubbliche mirate?
Ci sono misure specifiche come l’assicurazione sanitaria pubblica gratuita, la scuola pubblica gratuita, programmi di welfare per le famiglie che non possono lavorare. Negli Usa, tra le misure anti povertà, è previsto che se lavori il governo ti sovvenziona con un credito d’imposta sul reddito da lavoro (Earned Income Tax Credit). I lavoratori a reddito medio-basso ottengono un’agevolazione fiscale, il credito si può infatti usare per ridurre le tasse e aumentare il rimborso. Se hai due figli ti viene riconosciuto il 40%, se guadagni 10mila euro il governo ti riconosce altri 4mila dollari sotto forma di credito di imposta. L’idea che il salario minimo sia una bacchetta magica per sollevare le persone dalla povertà penso che sia semplicemente sbagliata. Ma anche in un paese come l’America, alla gente non piace avere disuguaglianze molto forti. I governi sono sotto pressione per fare qualcosa.

Il salario minimo gode di un maggior consenso nell’opinione pubblica rispetto ai sussidi pubblici?
La cosa grandiosa del salario minimo, dal punto di vista di un politico, è che si realizzano due cose. Stai facendo qualcosa contro le disuguaglianze. E non hai dovuto aumentare le tasse per farlo. Mentre con le altre politiche puoi anche dire di aver fatto qualcosa contro le disuguaglianze che in realtà funziona meglio, ma per finanziare i sussidi devi prendere i soldi dalle tasse e ci sono più resistenze. In realtà anche con il salario minimo paghiamo tutti. Molti datori di lavoro non sono ricchi e quando gli aumentano il salario minimo, loro aumentano i prezzi. Quindi è un’illusione pensare che nessuno paga per il salario minimo. Alla fine tutti pagano. È solo che in questo modo direttamente non si aumenta l’aliquota fiscale, che penso sia il motivo per cui politicamente è una cosa molto più popolare da
fare.

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