L’eleganza futurista di Vuitton e i poster sessantottini di Miu Miu
di Angelo Flaccavento
2' di lettura
La bellezza è per strada, recita uno degli slogan più famosi del maggio 1968. Campeggiava su uno dei manifesti prodotti da Atelier Populaire a sostegno delle proteste studentesche: un disegno a china nera dal tratto grosso e immediato, che raffigura una donna intenta a scagliare un pezzo di lastricato divelto, versione moderna della Libertà che guida il popolo di Delacroix.
Anche per Miuccia Prada oggi la bellezza è per strada - o lì vicino: giocare alla vita vera nella moda comporta sempre un grado elevato di stilizzazione e astrazione. A proposito, lo show di Miu Miu che ieri ha chiuso la fashion week parigina è stato preceduto da una campagna di affissioni selvagge in giro per la città: un alfabeto di azioni e comportamenti femminili, disegnato a china nera, con linee spesse e spontanee.
L’associazione sessantottina è evidente, perché sessantottino è l’atteggiamento che ha guidato il progetto della collezione: giù dalla torre d’avorio, in mezzo alla gente per catalogare persone, atteggiamenti, corpi, glorificandoli nella loro diversità. «Il vero cambiamento oggi è mettere le tue idee addosso alla gente invece che imporle – dice Miuccia Prada, soddisfatta del casting onnicomprensivo per razze, forme e caratteri –. È stato stimolante confrontarsi con ogni modella su quel che avrebbe indossato». Lo styling ancora una volta prevale sul design, ma la mischia di look da suburbia britannica, blouson e cappotti dai volumi anni ottanta e sfrontatezze proletarie alla Karlheinz Weinberger funziona, perchè il maggio francese prende una china ruvida e sporca che annulla gli usuali lambiccamenti da madamina. Anche se, certo, la rivoluzione vera si fa guardando avanti, non indietro.
Nicolas Ghesquiere, da Louis Vuitton esalta il francesismo della maison in un peana allo chic francese da manuale che è insieme nostalgico e futurista. Nella Cour Lefuel del Louvre, tra sculture e architetture barocche, le modelle corrono su un pianale da astronave vestite in collage angolosi che remixano echi di Chanel e Yves Saint-Laurent in uno zigzag spaziotemporale che è una idea di viaggio sparata a mille all’ora come per fuggire dalle brutture del presente.
Questa è stata una stagione di metamorfosi: la definitiva glorificazione delle diversità femminili, a costo di rinunciare alla coerenza. Sarah Burton, da Alexander Mc Queen passa dalla precisione del tailoring maschile ai fiocchi couture senza mai abbandonare il tono alto dell’espressione, guadagnando una nuova concretezza. Da Chanel, in fine, Karl Lagerfel alleggerisce e fluidifica, suggerendo una idea di eleganza en plein air fatta di silhouette verticali e texture opulente. Lo show è ambientato in un bosco in inverno, tra rami spogli e foglie secche: set malinconico che sottolinea la natura ciclica di tutto, dalla moda alla vita.
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