L’energia record ora inizia a frenare l’industria. Anche in Europa
I prezzi di gas, petrolio, carbone ed elettricità continuano a salire. E si osservano i primi segnali di distruzione della domanda. Non più solo in Cina o nella Gran Bretagna post Brexit
di Sissi Bellomo
3' di lettura
Gas e petrolio, carbone ed elettricità. Ogni giorno porta nuovi record di prezzo e la bolletta energetica è ormai diventata così pesante che comincia a frenare i consumi di combustibili. Sono le leggi di mercato: se l’offerta non riesce a salire, prima o poi ci sarà una reazione sul fronte della domanda. Il momento sembra essere arrivato. E non è un buon segnale, anche se potrebbe contribuire a raffreddare il mercato. Perché a minori consumi di energia corrisponde un rallentamento delle attività manifatturiere, che si traduce in una seria minaccia per la crescita economica.
Il fenomeno è esploso con evidenza in Cina, dove la crisi energetica è diventata pesantissima, al punto da costringere a blackout e blocchi produttivi in migliaia di imprese: Goldman Sachs stima che addirittura il 44% delle attività industriali nel Paese sia in qualche modo colpito da carenze o restrizioni all’impiego di energia, con ripercussioni che si faranno sentire sul Pil.
Solo tra le fonderie cinesi di alluminio, impianti tra i più energivori, si stima una perdita di capacità produttiva di almeno 2 milioni di tonnellate. Ma i problemi toccano ormai ogni settore industriale. E non sono circoscritti alla Cina.
La domanda di combustibili mostra segni di cedimento anche in altre aree del mondo, non più legati al Covid come nei mesi scorsi, bensì al caro energia. E secondo Morgan Stanley la tendenza si accentuerà ora che il petrolio scambia stabilmente sopra 80 dollari al barile.
Il fenomeno peraltro non riguarda solo le economie più fragili o i Paesi in via di sviluppo. Anche in Europa un numero crescente (benché tuttora limitato) di imprese sta frenando la produzione a causa del costo esorbitante dell’energia, con fermate che non sono più limitate al settore dei fertilizzanti – il primo a cedere, in quanto impiega il gas come materia prima – né si concentrano esclusivamente nella Gran Bretagna post Brexit.
Platts Analytics prevede che nel quarto trimestre in Europa ci sarà distruzione delle domanda di gas per 14 milioni di metri cubi al giorno nel settore industriale, mentre altri 30 milioni di metri cubi di domanda si “perderanno” per il passaggio dal gas al carbone o al petrolio, anche nella generazione elettrica.
Eurometaux, l’associazione europea dei produttori di metalli non ferrosi, in una lettera di fine settembre alla Commissione Ue ha denunciato che «la crescita dei prezzi dell’elettricità ha già indotto a tagli produttivi e potrebbe indurre le imprese a ulteriori delocalizzazioni fuori dall’Europa» se Bruxelles non prenderà provvedimenti.
Tra le società che stanno gettando la spugna c’è anche il colosso belga Nyrstar, che nei giorni scorsi ha rallentato una fonderia di zinco in Olanda. Nello stesso Paese per risparmiare gas si è cominciato a ridurre il riscaldamento delle serre per la coltivazione di fiori e ortaggi.
«I produttori di alluminio, rame, nickel, zinco e silicio sono in prima linea nell’affrontare l’impatto del caro elettricità», afferma Eurometaux, mettendo in guardia anche sul rischio che l’Europa perda capacità produttiva di materie prime importanti per la decarbonizzazione.
La siderurgia per ora resiste un po’ meglio al caro energia, grazie alla forte domanda di acciaio e ai listini di vendita elevati, che garantiscono ancora una buona marginalità. Ma il rischio di fermate programmate, anche al di fuori della Gran Bretagna (dove si stanno già verificando), è concreto: «Stiamo arrivando al punto in cui non sono da escludere nelle fasce orarie in cui i listini (energetici, Ndr) sono al massimo», ha dichiarato Giovanni Pasini, consigliere delegato del Gruppo Feralpi, intervistato da Siderweb.
L’allarme serpeggia anche nell’industria chimica. «L’esplosione dei prezzi sui mercati energetici sta assumento proporzionio drammatiche», ha dichiarato a Icis Christof Gunther, portavoce della VCI Landesverband Nordost, che rappresenta 365 produttori chimici della Germania orientale. «Nella regione che rappresento le società sono sul punto di tirare il freno di emergenza chiudendo gli impianti».
Il rally del gas intanto non concede tregua. Il prezzo – già quintuplicato da inizio anno – martedì 5 è balzato del 20% al Ttf olandese, fino a sfiorare 120 euro per Megawattora, senza reagire nemmeno alle dichiarazioni del regolatore tedesco, secondo cui il Nord Stream 2 – purché rispettoso della concorrenza – potrebbe anche ricevere presto il via libera all’avvio.
Nel frattempo anche le quotazioni del petrolio hanno continuato a correre all’indomani del vertice Opec+, con il Brent che ha superato 83 dollari al barile. Nuovo record storico pure per il carbone, arrivato a 280 euro per tonnellata nel Nord Europa, mentre i diritti Ue sulla CO2 restano vicino ai massimi, sopra 63 euro per tonnellata.
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