L’eredità di Draghi a Lagarde: un bazooka pronto all’uso
Il consiglio direttivo della Bce, e Mario Draghi in procinto di passare la mano a Christine Lagarde, dovranno dimostrare ai mercati di saper dare risposte e di saper trovare soluzioni di fronte alle sfide dell’economia e della finanza globali
di Isabella Bufacchi
4' di lettura
L’inflazione che non converge ma si allontana dall’obiettivo vicino al 2% e il rallentamento economico che persiste nel terzo trimestre con la Germania più vicina alla recessione tecnica; le incognite geopolitiche che restano irrisolte ma con la no-deal Brexit in alto mare, con il dialogo a singhiozzo tra Usa-Cina che però ora riprende e con un’Italia meno imprevedibile.
L’avversione al rischio sul mercato si è lievemente attenuata rispetto a questa estate ma permangono le aspettative per il varo di un pacchetto di nuove misure di politica accomodante nell’area dell’euro. E poi ancora: i margini di discontinuità della nuova presidenza sotto il segno di Christine Lagarde; il check-up degli strumenti non convenzionali per la messa a punto della cassetta degli attrezzi; la controversia in corso sugli effetti collaterali. E non da ultimo, i falchi che sono più riottosi del solito, intenzionati a uscire da quell’angolo dove sentono di essere stati tenuti fin troppo a lungo.
Di tutto questo il consiglio direttivo della Bce dovrà tener conto giovedì 12 settembre e pur tuttavia dimostrare ai mercati di saper dare risposte e di saper trovare soluzioni, in una riunione dove tra le tante attese, quella più grande è riposta ancora una volta su Mario Draghi, e sulla sua capacità - finora comprovata - di trovare la maggioranza in Consiglio per affermare e riaffermare la potenza della Bce di fronte a qualsiasi sfida: che sia deflazione o inflazione troppo bassa, rottura dell’euro, crisi dei debiti sovrani, e da ultimo la scarsa fiducia dei mercati nella “tool box” senza il sostegno di adeguate politiche fiscali espansive.
Ampia, tanto quanto i problemi sul tavolo, è la gamma delle decisioni che saranno valutate dal consiglio direttivo il 12 settembre e che il mercato ha, con forte volatilità, freneticamente scontato sull’interbancario e sui rendimenti dei bond nelle ultime settimane. Tenuto conto che la politica monetaria della Bce resta impostata sulla massima flessibilità di intervento, per reagire con tempestività alla congiuntura, il ventaglio sulle possibili mosse in esame è molto articolato: modifica della forward guidance, per renderla più incisiva e più vicina alla simmetria dell’obiettivo di inflazione, per orizzonte e portata; taglio del tasso delle deposit facilities ora a -0,40%, accompagnato da misure attenuanti per le banche, sollecitate a gran voce dai falchi ma senza impatto da game changer; ritocco, per quanto tra le misure poco probabili, alla terza serie dei prestiti mirati TLTRO in avvio a settembre, per renderli più generosi e complementari all’eventuale tiering per le banche; lancio immediato o quasi di un nuovo programma di acquisti netti di attività (tra i 15-20 miliardi al mese) con apertura a ritocchi sulle modalità di funzionamento.
Saranno presentati i risultati dei comitati pertinenti che sono stati incaricati dall’ultimo Consiglio «di esaminare possibili opzioni, fra cui modalità atte a rafforzare le indicazioni prospettiche in merito ai tassi di interesse di riferimento, misure di attenuazione, come l’elaborazione di un sistema a più livelli per la remunerazione delle riserve, e possibili opzioni riguardo a dimensioni e composizione di eventuali nuovi acquisti netti di attività».
Il pacchetto stavolta, se pacchetto sarà, a differenza di quelli multipli che furono annunciati dalla Bce nel giugno 2014 o nel marzo 2016, non dovrà necessariamente sparare tutti i colpi in canna ma piuttosto dovrà fare in modo che il cosiddetto «big bazooka» sia perfettamente carico e funzionante, pronto all’uso con vasta potenza di fuoco, per Draghi ancora poco ma soprattutto in prospettiva per Christine Lagarde. La prossima presidente della Bce ha già pubblicamente sottoscritto la necessità di mantenere l’attuale politica monetaria altamente accomodante ma non avrà lo stile di Draghi per comunicarlo ai mercati.
Cosa fare e come, tra le tante misure allo studio domani in Bce, sarà deciso sulla base dell’andamento dell’inflazione e dalle aspettative inflazionistiche di medio termine che rischiano sempre più di non essere ancorate: tutto quel che si annuncia in Bce va ricondotto al mandato della stabilità dei prezzi. Nell’ultima conferenza stampa di luglio Draghi ha detto più volte che «l’inflazione dove è ora non ci piace e non accettiamo un’inflazione così bassa». E ha chiarito che «simmetria significa che il Consiglio direttivo agirà con la stessa determinazione, sia quando l’inflazione è sopra o sotto l’obiettivo»(un tasso di inflazione sui 12 mesi inferiore ma prossimo al 2% in un orizzonte di medio termine).
L’inflazione core nell’area dell’euro ad agosto è risultata dello 0,94%, quella complessiva all’1,01%: si sta adagiando in area 1%. Altro contesto fondamentale per le decisioni della Bce è quello delle proiezioni macroeconomiche che saranno formulate alla riunione dagli esperti della BCE per l’area dell'euro. Il rallentamento economico è per ora più prolungato e più pronunciato del previsto, ma i fattori geopolitici (guerra commerciale Usa-Cina e Brexit) che ne sono stati i principali responsabili (provocando l’aumento dell’incertezza e della sfiducia che frenano la domanda e gli investimenti) sono fortemente altalenanti e da esiti tutt’ora imprevedibili.
La voce dei falchi intanto monta, proprio perché manca una manciata di settimane alla fine del mandato di Mario Draghi: ma un Consiglio direttivo spaccato è proprio quello di cui la Bce, in un periodo di altissima tensione mondiale, non può sentire alcun bisogno.
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