L’escalation siriana e l’attivismo crescente di Israele
di Gianandrea Gaiani
4' di lettura
Il conflitto civile siriano, ormai agli sgoccioli nella fase di contrasto ai movimenti insurrezionali jihadisti, sta subendo una rapida escalation ben evidenziata dagli avvenimenti bellici degli ultimi dieci giorni.
L’abbattimento di un cacciabombardiere Su-25 russo da parte dei miliziani qaedisti a Idlib, di un elicottero turco da parte delle forze curde ad Afrin, di un drone iraniano lungo i confini israeliani e di un caccia F-16 di Gerusalemme di ritorno da un raid sulla Siria sottolineano il progressivo inasprimento di un conflitto che non ha ormai più nulla a che fare con la lotta allo Stato Islamico ma che rientra invece nel plurimo confronto tra sciti-sunniti, Israele-Iran e Usa-Russia.
Come in Iraq, anche in Siria il Califfato è sconfitto così come senza speranze sono le milizie qaediste circondate nella “sacca di Idlib” mentre gli scontri oggi vedono gli statunitensi sostenere i curdi per impedire ad Assad e ai suoi alleati russi e iraniani di riconquistare tutto il territorio nazionale e i pozzi petroliferi dell’Est. Per sostenere questa politica Washington si avvale delle milizie curde e in parte arabe delle Forze democratiche siriane (Fds) sostenute da qualche migliaio di consiglieri militari e forze speciali americane e dai jet che la scorsa settimana hanno ucciso un centinaio di paramilitari siriani e forse anche contractor russi.
Washington e Ankara
Nonostante queste esibizioni muscolari la posizione degli Usa in Siria resta debole poiché le Fds controllano un territorio ben più vasto di quello abitato dai curdi esponendosi così all’ostilità di Damasco ma anche di Turchia e Iran, specie dopo aver rifiutato l’offerta di Assad di un’ampia autonomia della regione curda (Rojava).
Un rifiuto che ha contribuito a indurre Ankara a scatenare l’offensiva ad Afrin che potrebbe allargarsi a Manbji e a tutta la regione di confine investendo anche le aree in cui le Fds sono affiancate dai militari statunitensi. L’obiettivo turco di costituire una zona cuscinetto nel Nord della Siria per proteggere il territorio nazionale non è certo nato oggi ma è divenuto una necessità impellente dopo che Washington ha fornito 2 miliardi di dollari di armi sofisticate alle Fds varando un piano per addestrare un esercito curdo (spacciato goffamente per un corpo di “guardie di frontiera”) di ben 30mila combattenti.
Uno sviluppo che accomuna gli interessi diTayyp Erdogan e Bashar Assad, tesi per ragioni diverse a ridimensionare i curdi che in Siria rischiano di subire la stessa beffarda sorte dei loro cugini in Iraq: carne da cannone contro il Califfato ma poi costretti con le armi a cedere i territori liberati e a rinunciare a ogni aspettativa di indipendenza.
Al Pentagono il dibattito sulla debolezza intrinseca della posizione statunitense in Siria è molto acceso e infatti la sconfitta dell’Isis ha determinato il ritiro di parte delle truppe stanziate in Iraq ma non di quelle dislocate in Siria. Per questo la maggiore aggressività di Israele potrebbe rientrare in un piano condiviso con Washington e che potrebbe rispondere a molti interrogativi rimasti in sospeso quando Donald Trump annunciò tra mille polemiche di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico.
Il drone spia possibile
L’abbattimento del drone iraniano, che avrebbe sorvolato per un minuto e mezzo il territorio israeliano, sembra poter costituire un casus belli che giustifichi un maggiore attivismo militare israeliano in Siria. Non che Israele abbia mai avuto bisogno di giustificazioni considerato che dal 2011 ha effettuato almeno un centinaio di incursioni aeree in Siria, violando anche lo spazio aereo libanese, motivandole con la necessità di colpire le forniture di armi iraniane agli Hezbollah libanesi.
L’Iran nega che il suo drone fosse diretto in Israele anche se era un Saeqeh “stealth”, velivolo spia a bassa visibilità radar copiato dall’americano RQ-170 Sentinel abbattuto nel 2011 nei cieli iraniani. Per monitorare i ribelli è superfluo impiegare un Saeqeh, ideale invece per penetrare uno spazio aereo ben difeso come quello di Israele.
Le posizioni di Iran e Siria...
Teheran e Damasco non hanno però alcun interesse a provocare il coinvolgimento israeliano in un conflitto in cui hanno ormai la vittoria in pugno. Al contrario Gerusalemme, sponsor della causa curda e ora più che mai alleato di ferro di Trump, condivide l’esigenza di impedire il consolidamento dell’asse scita che unisce Iran, Iraq, Siria e parte del Libano.
Per farlo Gerusalemme ha almeno due opzioni militari, delle quali una non esclude l’altra: attaccare Hezbollah nel Libano meridionale contando che i migliori reparti del movimento scita sono in prima linea in Siria e intensificare i raid aerei sulle installazioni militari delle forze iraniane, Hezbollah e di Assad in territorio siriano.
Il generale Yoel Strick, alla testa del Comando Nord, ha ribadito che lo Stato ebraico «non permetterà all’Iran di arroccarsi in Siria» dove Teheran «vuole stabilire una base avanzata con l’obiettivo di colpire Israele». Affermazione che lascia dubbi anche nello stesso governo israeliano dove il ministro per l’istruzione Naftali Bennet ha ammesso che «l’Iran non ha alcuna divisione, brigata o battaglione in Siria, dove la sua presenza militare è contenuta».
...e quella di Mosca
La vicenda del cacciabombardiere F-16 colpito da un missile siriano, il primo caccia israeliano ad essere abbattuto dal 1982, ha determinato un’ulteriore rappresaglia contro le difese aeree di Damasco ma potrebbe indicare anche che Mosca non ha intenzione di stare a guardare. Da un lato la Russia potrebbe rivelarsi determinante nel mediare un’intesa tra Damasco e Ankara per attaccare congiuntamente le Fds sostenute dagli Usa, dall’altro ha il controllo dello spazio aereo siriano. Le difese aeree di Damasco sono state ammodernate e gestite da personale russo che a Latakya schiera aerei, i migliori missili antiaerei a lungo raggio (S-400) e gli apparati da guerra elettronica più sofisticati. Proprio questi ultimi potrebbero aver avuto un ruolo nell’ingannare le difese del caccia israeliano abbattuto. Mosca, che fin dal suo intervento a supporto di Damasco ha garantito che dalla Siria non sarebbero partiti attacchi contro Israele, ha sottolineato la necessità che «vengano rispettate in modo incondizionato la sovranità e l’integrità territoriale della Siria e degli altri Paesi nella regione«. Quasi con un monito a Gerusalemme.
loading...