Il dopo referendum infiamma i prezzi del greggio

L’esercito di Baghdad si riprende Kirkuk, l’Iraq rischia una nuova guerra civile

di Roberto Bongiorni

Un militare iracheno nella marcia di avvicinamento a Kirkuk (Afp)

3' di lettura

La nuova crisi si chiama Kurdistan iracheno, ed il suo epicentro è Kirkuk, la città petrolifera contesa da anni tra Baghdad ed Erbil ma in mano ai peshmerga curdi dal 2014 fino a ieri. E da ieri ripresa dall’esercito iracheno. È qui che si sta consumando un drammatico capitolo del futuro di questa martoriata zona del Medio Oriente ormai proiettata nella delicatissima gestione del “dopo Isis”. All’alba di lunedì, milizie filo iraniane hanno ingaggiato duri scontri con armi pesanti con alcuni reparti di peshmerga kurdi nella periferia meridionale della città. Poi in poche ore le forze d’elite dell’esercito iracheno hanno preso il controllo degli uffici della compagnia North Gas, di una raffineria, del distretto industriale a sud , oltre alla base militare aerea K1.

Dopo i primi scontri, l’avanzata - ha precisato Baghdad - è avvenuta senza ricorrere alle armi. I curdi avrebbero abbandonato le loro postazioni. Poche ore dopo, nel pomeriggio, la bandiera nazionale irachena sventolava sul tetto del Governatorato di Kirkuk. «Tutta la città di Kirkuk è sotto il controllo del Governo di Baghdad», ha annunciato l’esercito. Migliaia di curdi sono fuggiti da Kirkuk. Un attacco «condotto da forze irachene e milizie addestrate dall’Iran equivale a una dichiarazione di guerra contro il Kurdistan» ha replicato il comando generale dei Peshmerga.

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I grandi pozzi petroliferi nella periferia occidentale sarebbero ancora in mano loro. Ma loro produzione (circa 300mila barili al giorno) sarebbe stata fermata per motivi di sicurezza. I prezzi internazionali del petrolio hanno subito reagito a quest’offensiva che potrebbe destabilizzare l’area circostante ricca di altri grandi giacimenti. Il Brent ha guadagnato durante la seduta il 2,3% per poi assestarsi con un rialzo di circa 60 cents a 57,7 dollari al barile.

Si tratta comunque della prima, preoccupante risposta militare al referendum consultivo sull’indipendenza, tenutosi lo scorso 25 settembre nella regione semi autonoma del Kurdistan ma anche in diverse zone contese rivendicate dai curdi come loro territorio. Un referendum che aveva visto i curdi soli contro ili mondo. L’Iran aveva subito chiuso le frontiere, la Turchia aveva minacciato rappresaglie commerciali, schierando il suo esercito lungo il confine, il Governo di Baghdad, che ha sempre definito il referendum incostituzionale, aveva risposto con la chiusura degli spazi aerei, isolando il Kurdistan e intimando al governo di Erbil di riconsegnare il controllo degli aeroporti, dei confini e dei giacimenti di Kirkuk.

Kirkuk è importante per tutti. Perchè tutti vogliono mettere le mani sui suoi giacimenti. Complessivamente oggi hanno una capacità di 435mila barili al giorno: 160mila erano estratti fino a ieri dalla Noc, la compagnia di stato irachena, il resto dal Governo regionale del Kurdistan (Krg). Ma il loro potenziale è probabilmente il doppio. E le grandi riserve che il sottosuolo di Kirkuk nasconde - 15 se non 20 miliardi di barili - sono un bottino a cui è difficile rinunciare.

Ma perchè è stato così facile per Baghdad ottenere questo successo militare? Non erano i peshmerga la milizia più agguerrita e coraggiosa, quella che aveva salvato Kirkuk nel 2014, quando l’esercito iracheno fuggì davanti all’avanzata dell’Isis?

Sembra che le divisioni politiche tra i curdi abbiano giocato ancora una volta un ruolo decisivo, spianando la strada a Baghad. I due principali partiti politici,il Kdp del presidente del Kurdistan, Massoud Barzani, e il Puk, dell’appena defunto Jalal Talabani (meno ostile all’Iran) sono stati spesso ai ferri corti. Il Kdp, che controlla il Governo del Kurdistan, aveva spinto per il referendum, il Puk aveva invece caldeggiato perchè venisse posticipato, accusando il Kdp di aver gettato il Kurdistan iracheno in una crisi senza precedenti la cui risoluzione era la vera priorità.

Membri del Kdp hanno accusato di tradimento alcuni ufficiali del Puk per aver abbandonato i check-point. Fonti del Puk hanno confidato al Sole 24 Ore come l’Iran abbia fatto molte pressioni affinchè i peshmerga controllati dal Puk si ritirassero e poi dessero il via ai negoziati per una amministrazione condivisa della città. Anche le autorità di Baghdad avrebbero avuto frequenti incontri con i curdi. «È mio dovere lavorare secondo la costituzione per servire i cittadini e salvaguardare l’unità del Paese», ha detto al-Abadi.

Le prossime ore saranno cruciali. L’alternativa a un accordo tra Erbil e Baghdad è una nuova guerra civile irachena. In cui a perdere sarebbero tutti.

Referendum Kurdistan: il 92% dice sì a indipendenza da Iraq



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