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L’esperto Usa Davenport: aziende, ecco come puntare con successo sull’AI

La tecnologia che più sta facendo parlare per la sua pervasività e i suoi possibili impatti è la protagonista di “Scacco matto con l’AI” (edito in Italia da Egea) a firma di Thomas H. Davenport e Nitin Mittal. Ne abbiamo parlato con uno degli autori

di Gianni Rusconi

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4' di lettura

L’intelligenza artificiale analizzata sul campo, per capire i vantaggi della sua applicazione nei processi aziendali: la tecnologia che più sta facendo parlare e discutere del nostro tempo per la sua pervasività e i suoi possibili impatti – nella società e in qualsiasi settore dell’industria – è il soggetto protagonista di “Scacco matto con l’AI” (edito in Italia da Egea), saggio a firma di Thomas H. Davenport, President’s Distinguished Professor of IT and Management al Babson College di Boston (oltre a ricoprire altre cariche presso l’Università di Oxford e il MIT ed essere considerato fra le cento persone più influenti al mondo nel settore tech) e Nitin Mittal, responsabile della divisione AI di Deloitte Consulting negli Stati Uniti.

Il libro in questione non è una dissertazione filosofica sul tema dell’intelligenza artificiale e nemmeno una ricetta passepartout per affrontare il passaggio completo all’AI (ogni organizzazione ha diverse motivazioni e un proprio percorso specifico per integrare in modo aggressivo la tecnologia nella propria attività). É un approfondimento guidato sulle strategie e sulle best practice (ruolo della componente umana e di quella tecnologica compreso) che hanno fatto la fortuna di quelle aziende (la cinese Ping An Insurance, Airbus e la holding bancaria americana Capital One) pronte a scommettere con decisione sull’AI. L’obiettivo è quello di fornire ai leader le nozioni necessarie per aiutare le proprie organizzazioni a portare le funzionalità degli algoritmi e del machine learning a un livello successivo. “Scacco matto con l’AI” è dunque una vista dall’interno sui progetti implementati da un ristretto gruppo imprese di rilevanza mondiale che hanno messo questa tecnologia al centro di tutto per trasformare radicalmente (e con successo) prodotti, processi, modelli di business, relazioni con i clienti e persino la propria cultura. Ne abbiamo parlato con uno degli autori, Thomas H. Davenport.

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Per essere un’azienda sostenuta dall’AI occorre impegnarsi senza riserve in questa direzione: ma un’azienda può fare a meno dell’intelligenza artificiale e rimanere competitiva?

In alcuni settori è possibile non utilizzare l’intelligenza artificiale e avere comunque successo. Nelle organizzazioni che operano nel mondo B2B, o nelle aziende con un numero relativamente basso di dati, l’AI potrebbe non essere necessaria per la sopravvivenza ma può, tuttavia, migliorare quasi tutte le aziende. Per questo nessun team di gestione dovrebbe sottovalutarla o ignorarla.

La popolarità dell’AI generativa in ambito consumer (vedi ChatGpt) sarà un driver per aumentare l’utilizzo degli algoritmi in azienda? Assisteremo a una trasformazione delle organizzazioni dal basso?

La maggior parte delle applicazioni attuali dell’AI generativa riguarda la sperimentazione e l’aumento della produttività dei singoli operatori intellettuali e dei creatori di contenuti. Per consentire la trasformazione del business, invece, le aziende dovranno probabilmente adottare un approccio più strategico alla tecnologia e identificare casi d’uso di natura più organizzativa.

Ci sono le differenze fra il modello di adozione dell’AI per una grande azienda multinazionale e quello per una piccola impresa o una startup?

La maggior parte delle grandi multinazionali dispone ormai di centri di eccellenza e di team di data scientist in grado di sviluppare modelli di intelligenza artificiale. Le organizzazioni più piccole, ad eccezione delle startup tecnologiche con ingenti risorse di capitale di rischio, potrebbero invece non essere in grado di permettersi queste risorse ma possono per contro formare i dipendenti esistenti sulle competenze di data science, utilizzare sistemi di AI sviluppati da loro fornitori e impiegare il cloud computing per immagazzinare i dati. In ogni caso, anche per le piccole e medie imprese è certamente possibile utilizzare l’intelligenza artificiale, superando barriere che generalmente riguardano la sfera della consapevolezza, non i costi o la tecnologia.

Come si sceglie l’AI “giusta” per la propria azienda? Chi la deve scegliere? E come si misura il ritorno dell’investimento?

I manager senior che conoscono e comprendono la strategia e la direzione aziendale dovrebbero imparare abbastanza sull’AI per determinare inizialmente quali business case sono di alta priorità per l’azienda. Gli stessi manager, poi, possono avvalersi di figure tecniche interne all’organizzazione o di consulenti per sviluppare un’analisi dettagliata delle risorse It e di talento necessarie per sviluppare i casi d’uso. Prima di procedere si dovrebbe inoltre tentare di determinare il ritorno dell’investimento sulla base di un confronto tra i processi aziendali previsti e quelli esistenti, ma di solito è possibile determinare un ROI accurato solo dopo che il sistema è stato implementato. Molte aziende sviluppano una prova di concetto su piccola scala e poi procedono con l’implementazione su larga scala se il sistema ha successo e sembra essere valido.

Nel libro sostenete che l’ingrediente più importante per il successo dell’AI non sono le macchine, bensì la leadership e il comportamento delle persone: ma se l’umano educa l’AI, chi educa l’umano? È compito del management?

Sì, è compito del management istruire sé stesso e i propri dipendenti su ciò che l’AI può fare e su come svilupparla e implementarla all’interno delle proprie aziende. Oggi ogni lavoratore ha bisogno di competenze digitali, e l’intelligenza artificiale ne è una componente importante. Ogni addetto dovrebbe anche essere incoraggiato a pensare a come l’AI potrebbe influire sul proprio lavoro in futuro e dovrebbe disporre di risorse che lo aiuti a conoscere e utilizzare questa tecnologia per condividere valore con il proprio datore di lavoro.

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