L’età matura delle web-serie: anche i brand vanno a caccia di ascolti
Le aziende provano a coinvolgere il consumatore con prodotti multimediali seriali con strategie anti-zapping che richiamano le tecniche di engagement della tv
di Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano
6' di lettura
È nata una nuova generazione di teledipendenti. Anche se stavolta l’attrazione non riguarda più il vecchio tubo catodico, ma lo schermo connesso: che si tratti di quello miniaturizzato dello smartphone oppure di quell’altro immersivo e cinematografico della smart tv, poco importa. La tendenza, rafforzata da questo anno anomalo segnato dall’emergenza sanitaria e dalla ridefinizione del tempo libero tra le mura domestiche, non lascia spazio ad equivoci: l’esperienza di fruizione digitale si allunga nel tempo e si espande tra le piattaforme. Lo certificano anche tutti gli indicatori che misurano il tempo di permanenza degli utenti online: per Comscore gli aumenti più significativi si registrano su social e intrattenimento, che assorbono il 50% del tempo online dei 40 milioni di italiani che hanno navigato in rete soltanto a novembre 2020 (+4% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente), per una media di connessione di 2 ore e 40 minuti al giorno. Così si strecciano i tempi di visione verso una serialità nuova per le dinamiche dell’online. Un fenomeno amplificato anche dalla copertina del New Yorker della scorsa settimana, disegnata dall’illustratore Adrian Tomine: un interno tra salotto e cucina pieno di oggetti legati alla quotidianità. Libri, cartoni di Amazon, giornali e riviste, succhi di frutta, gel igienizzate e mascherina, persino il trasportino con un gatto. Al centro della scena una donna, in mano un cocktail appena versato e uno schermo rigorosamente accesso e connesso.
Video non solo snack
D’altronde passiamo più tempo incollati agli schermi: così di conseguenza si moltiplica anche la durata dei video che fruiamo. Non si tratta più soltanto di prodotti snack per consumi sporadici. La dieta mediatica dettata dai social incrementa il consumo e cannibalizza l’attenzione. Una tendenza inarrestabile: qualche tempo fa alcune testate americane hanno rilanciato l’indiscrezione legata a TikTok, che starebbe già testando i video di tre minuti. Il limite attuale per la durata di un video sulla piattaforma è fermo ai sessanta secondi. Non è un caso isolato: nel 2020 Instagram ha esteso il limite di tempo per le clip su Reels, la sua piattaforma video in formato breve, passando da 15 secondi a 30 secondi. Benvenuti nella nuova era conversazionale, che ha un impatto anche sulla marca, come ha scritto l’Harvard Business Review. Una rivoluzione dettata da produzioni che si dipanano nel tempo. Ecco allora imporsi sul mercato il modello delle web-serie, anche legate alle aziende.
È il tempo del brand entertainment, con soluzioni multipiattaforma che prediligono la soluzione estemporanea delle stories, ma che talvolta dall’online approdano anche nei canali cinematografici e televisivi. «La ragione principale di questa strategia da parte dei brand deriva dal fatto che la pubblicità tabellare classica – ovvero lo spot televisivo – è sempre meno vista dai telespettatori, sia perché la fruizione sulle piattaforme Svod non la prevede basandosi su altri modelli economici, sia perché anche la televisione lineare è spesso fruita con modalità che permettono di saltare gli spot inseriti all’interno dei programmi. Per mostrare l’offerta è dunque fondamentale per un brand “farsi contenuto” esso stesso», afferma Axel Fiacco, autore di “Unscripted formats – Teoria e pratica dei programmi televisivi globali”, uscito da pochi giorni in libreria per Castelvecchi. Una mutazione camaleontica, ma che in realtà permette di intercettare quell’attenzione ormai labile. «I modi in cui ciò viene attuato sono vari e sofisticati: in ogni caso quando il contenuto è pensato per la televisione, deve adottare completamente il linguaggio televisivo. Perché sia efficace tale contenuto deve infatti essere in primo luogo forte in sé, ovvero essere efficace come programma televisivo, e poi veicolare il brand in maniera altrettante efficace. Inutile dire che il bilanciamento di questi due fattori è delicato e per nulla scontato. Ormai la casistica di programmi incentrati sul brand – in primo luogo il cosiddetto branded entertainment, ma non solo – è assai ampia e consolidata», dice Fiacco.
Il fenomeno si coglie anche da nuovi modelli di business della filiera: non è un caso che Banijay Rights – diventato dopo la fusione con Endemol Shine il maggiore gruppo produttivo e distributivo a livello planetario – ha recentemente aperto la divisione commerciale Banijay Brand. Uno dei format più recenti in proposito, per esempio, è “Cabelo Pantene”: si tratta di un talent sui parrucchieri andato in onda con un ottimo riscontro in Brasile e quindi in Portogallo. Forse però a tutt’oggi il maggiore caso di successo a livello mondiale è “Lego Masters”. Si tratta di una sorta di game e talent show di costruttori di Lego che si sfidano in una serie di spettacolari battaglie a colpi di mattoncini colorati sotto lo sguardo severo di specialisti. «Il format è prodotto a livello mondiale da un colosso come Endemol Shine e adattato con successo in molti Paesi, tra cui America, Inghilterra e Australia. La costruzione di questi prodotti rispecchia i canoni di un classico format di successo, pur ponendo ovviamente al centro del concept il prodotto o il brand, a cominciare dal titolo», precisa Fiacco.
Le web-serie dei brand
Narrazioni che declinano il mondo contemporaneo e soltanto di riflesso il brand. Aria, acqua, terra e fuoco per raccontare l’oggi e soprattutto il domani. Un teatro a Bologna, tre piazze collegate e tre ore di live in due puntate trasmesse online a metà novembre 2020. “Cosa Sarà” è stato il primo Streameeting di Coop per raccontare le esperienze che cambiano il mondo.
La musica live ferma per le restrizioni sanitarie rivive online grazie a Buddybank di Unicredit e Tidal nella seconda stagione di “Niente di strano”, web-serie di sei concerti e interviste esclusive. L’evento è stato rilanciato sul canale YouTube di Buddybank e ha registrato oltre 500.000 collegamenti.
Un linguaggio dinamico è quello scelto per “C’è Carli”, web-serie che racconta le consegne dell’azienda ligure Olio Carli che dal 1911 vende per corrispondenza e a domicilio i propri prodotti. Ideata da EY, la campagna prevede otto puntate di quello che accade quando le persone Carli incontrano i loro clienti.
Dalla pasta di grano duro Senatore Cappelli al riso coltivato nell’area del Delta del Po: la cucina mediterranea raccontata con un volto noto del cinema. Si chiama “In cucina con la Cucinotta” la nuova web-serie promossa da Le Stagioni d’Italia, sei episodi online firmati da Armando Testa di Torino.
Anche Joule, la scuola per l’impresa di Eni, è diventata una web-serie. “The Rising Star Hotel” è articolata in dodici episodi. Al centro due startupper che vogliono trasformare in realtà la loro idea di impresa sostenibile. L’idea è di TBWA\Italia con Alta Formazione e la produzione è di Think Cattleya.
Un viaggio on the road per scoprire le bellezze spesso nascoste dell’Italia è il senso di “Italy from a window”, la web-serie di Jeep. Immagini suggestive e una voce narrante e coinvolgente accompagnano lo spettatore in sei episodi trasmessi sui canali social Instagram e Facebook di Jeep Italia.
Messe al bando le presentazioni fisiche in contesti suggestivi, la scommessa vincente dell’azienda è tutta sull’online. Nasce così in casa Ducati una web-serie per presentare i nuovi modelli 2021: del nuovo format la casa di Borgo Panigale ha realizzato cinque puntate di presentazione.
Un progetto di video stories per promuovere i prodotti a marchio Crai e le eccellenze produttive italiane. La web-serie “L’Assaggio Io” ha come testimonial l’attore Pino Insegno, impegnato a raccontare le ricchezze del territorio italiano e le storie imprenditoriali di successo dei vari prodotti.
Il self-love e la body-positivity raccontata attraverso una web-serie promossa da Dove. L’iconico brand ha scelto l’attrice, produttrice e scrittrice Lena Waithe per Girls Room, una web-serie controcorrente in cinque episodi lanciata nella primavera 2020. La regia è stata affidata alla promettente Tiffany Johnson.
Lo sport che abbatte barriere e pregiudizi. Nike ha celebrato in una speciale web-serie chiamata “Common Thread” le storie degli atleti di colore impegnati a raccontare la forza aggregativa dello sport. La web-serie è stata trasmessa sulla pagina IGTV di Nike.
Tra web e tv
Contenuti che si mimetizzano con le specifiche piattaforme per le quali vengono creati: è questo il caso di “Uk’shona Kwelanga”, la prima drama-serie realizzata per Whatsapp da Sanlam, operatore finanziario sudafricano specializzato in piani di assicurazione che coprono anche le spese funebri. Il format è stato realizzato in collaborazione con lo sceneggiatore Bongi Ndaba, che in precedenza aveva anche creato un canale broadcast su WhatsApp Business a cui ci si poteva iscrivere per seguire dal vivo la preparazione del funerale: come in una vera chat, i familiari si inviano messaggi le foto, video e note vocali. «Il brand è un’entità più astratta, mutevole e flessibile, e in ciò sta la sua forza. Perciò è relativamente semplice incarnarsi in varie modalità espressive e contenuti, compresi appunto quelli web e televisivi. La televisione, da parte sua, sta certamente mutando, ma sotto la spinta di altri fattori. Rimango convinto che il branded entertainment per avere successo sul medium televisivo debba essere in primo luogo di intrattenimento, accogliendo quindi le regole e gli stilemi imposti dal mezzo, e solo in seconda battuta ascrivibile al brand», conclude Fiacco. Così sia nell’agone digitale che in quello televisivo la marca deve ancora trovare una sua nuova identità.
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