L’Europa ritrovi lo spirito di casa comune
Quando penso all’Europa, penso a un funambolo che corre a velocità variabile su un filo. A un capo del filo ci sono gli Stati che questionano
di Giovanna De Minico
3' di lettura
Quando penso all’Europa, penso a un funambolo che corre a velocità variabile su un filo. A un capo del filo ci sono gli Stati che questionano, alzano la voce, qualcuno soccombe davanti al più forte; alla fine tutto si compone in una pacifica e asimmetrica convivenza. Dall’altro lato, c’è un nuovo soggetto sfocato nei suoi tratti, ma non identificabile in nessuno dei 27 che sono dal capo opposto. Questa immagine dice dell’ambiguità europea, incerta tra la vocazione intergovernativa e quella sovranazionale comune, una natura anfibia che né la rivoluzione digitale, la pandemia e la guerra ucraina sono riuscite a risolvere.
Farò tre esempi sintomatici di questa labile identità.
L’affermarsi dell’ecosistema digitale ha sbriciolato il paradigma della politica antitrust europea, come ha fatto a pezzi i concetti di sovranità nazionale e di potere pubblico, ma l’Europa non ha ancora una nuova idea in luogo delle precedenti azzerate. Sul mercato digitale sono prepotentemente entrati i giganti della rete, che occupano due piazze commerciali: quella della raccolta dei dati che scambiano contro servizi on line; e a valle quella pubblicitaria dove grazie alla pregressa profilazione vendono la nostra identità contro pubblicità. Le chiavi di questi mercati interconnessi sono tenute strette dai giganti, che non hanno alcuna intenzione di condividerle con i nuovi entranti. A questi non rimane che stare a guardare dalla finestra una competizione giocata da altri, almeno fino a quando la Commissione non obbligherà i giganti a condividere i dati, da noi illecitamente acquisiti.
L’Europa avrebbe avuto l’occasione di spezzare alle radici l’oligopolio tecnologico, data based, già con il Digital market act, dicembre 2002, dove tra le minuziose regole di comportamento non figura però la regola delle regole, quella che sarebbe bastata per tutte: lo sharing dei dati, che costituiscono la nuova essential facility. Il diniego di accesso all’infrastruttura virtuale dei dati ha consentito a Google di continuare a coltivare il suo orto intercluso. Qui la Commissione è stata recessiva dinanzi agli interessi egoistici dei gruppi economici privati, rinunciando così all’effettiva competizione nell’ecosistema digitale, da ultimo minacciato anche dall’intelligenza artificiale. Su questa novità tecnologica l’Europa si sta dando un gran da fare, ma la sensazione è quella di chi si agita a fronte di modesti risultati. Il futuro regolamento sull’intelligenza, certamente un passo avanti rispetto all’aporia regolatoria americana e cinese, omette di dire quanto sarebbe stato necessario gridare. Esso sconta un peccato originale di essere figlio dell’ideologia liberista-individuale, dove la mente intelligente è costruita secondo le regole prudenziali europee, specificate dallo stesso costruttore che è anche il suo controllore ultimo. Se poi un danno si dovesse verificare, l’ideatore ne sarà indenne. All’autocontrollo segue l’autoassoluzione da responsabilità, o meglio la sua diffusione su di noi che con quella mente meccanica non abbiamo mai parlato, cui danni invece subiremo. Anche in questo caso l’Europa ha battuto un timido colpo, la sensazione è sempre quella del vorrei ma in fondo non voglio.
Parliamo di pandemia, lì è mancata una chiara politica comune sia di profilassi che di recupero dal virus, con la conseguenza che ogni Stato ha fatto da sé. Solo la politica di ripresa ha visto finalmente l’Europa attore principale di un palcoscenico a lungo disertato.
La guerra in Ucraina non ha segnato una consistenza dell’interesse di difesa comune più significativo di quanto accaduto nei settori prima ricordati. Salvo la delibera del Consiglio 28 Febbraio 2022, con cui tra le varie misure economiche si annunciava lo stanziamento di una somma per acquistare armi. Ancora una volta ognuno è andato per la sua strada: chi aveva un interesse politico robusto, semmai per rivendicare un suo ruolo egemonico in Europa, ha fatto di più in termini di armi, chi non lo aveva ha fatto il minimo. Cosa avrebbe dovuto fare l’Europa? Lavorare per la pace con ogni mezzo e senza risparmiare energie, perché la guerra rimane l’estrema ratio, non la via da percorrere in prima battuta. Invece, i tentativi di pace sono rimasti affidati alla buona volontà di Macron, che ha giocato un ruolo europeista per compensare l’incapacità di domare l’insurrezione sociale in casa propria, mentre l’alto rappresentante per gli affari esteri, figura evanescente, non ha dato prova della sua esistenza in vita.
La Storia ha presentato occasioni irripetibili per costruire l’interesse comune, ma sono andate sprecate. Di conseguenza le autonomie politiche statali hanno riguadagnato terreno, appesantite dai rigurgiti nazionalistici e incapaci di lavorare per una casa di tutti. Eppure, una casa dove sentirsi in famiglia corrisponde proprio a quanto ciascuno di noi avrebbe bisogno di trovare.
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