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Entro il 2030 l’Europa registrerà il raddoppio della capacità di energia rinnovabile, il raddoppio dell'installazione di pompe di calore, la triplicazione del tasso di ristrutturazione degli edifici all'anno rispetto al 2021, circoleranno 29 milioni di veicoli elettrici e l’industria avrà ridotto del 29% le sue emissioni.
Dà tanto da pensare il recente rapporto del think tank Strategic Perspectives basato sui dati di Cambridge Econometrics, che simula l’impatto della nuova legislazione UE approvata di recente.
Secondo l’analisi il consumo di gas e petrolio si ridurrà rispettivamente del 31% e del 34% rispetto al 2019. Entro il 2030 la domanda assoluta di gas si ridurrà di 83,50 miliardi di metri cubi (bcm) in uno scenario di prezzi energetici bassi e di 92,91 bcm in uno scenario di prezzi energetici alti (sempre rispetto al 2019), l’equivalente del consumo di gas della Germania nel 2022. Le energie rinnovabili, in particolare l'eolico e il solare, diventeranno sempre più economiche, rendendo la decarbonizzazione energetica europea una scelta economicamente vantaggiosa, e gli impatti positivi in bolletta non si faranno attendere. In media, le famiglie europee vedranno ridursi la spesa dedicata all'energia e ai combustibili dall'8,6% del loro bilancio nel 2022 al 6,1% nel 2030. Le rinnovabili ridurranno i prezzi medi dell'elettricità per i consumatori di oltre il 7%. In termini occupazionali, il surplus sarà di 475.000 nuovi posti di lavoro.
E l’Italia come si posiziona in questo futuro win-win dove sostenibilità, crescita e sovranità energetica avanzano insieme? L’Italia costruirà rigassificatori, dibatterà di nucleare, ha appena abolito il superbonus per l’efficientamento degli immobili e combatte strenuamente l’addio alla obsoleta tecnologia dei motori a combustione.
Il nostro governo non solo non sembra capire le opportunità della transizione, ma si è distinto a Bruxelles negli ultimi mesi per le sue posizioni anti Green deal. E se la terza economia dell'Unione non fa la sua parte è difficile che gli obiettivi UE siano raggiunti. Ma non è ineluttabile che l’Italia vada in retromarcia o peggio, si trasformi nella capofila del fronte regressivo nell’Unione. Poche cose, e semplici, si potrebbero fare per non rimanere indietro e pesare sulle chance che l’Unione vada avanti.
Intanto potremmo sbloccare le autorizzazioni per le rinnovabili. Secondo l’Irex Annual Report 2023, gli investimenti programmati nel 2022 si aggirano sui 41 miliardi di euro, per una potenza coinvolta di 38,9 GW, quasi il triplo del 2021. Ma nonostante i decreti semplificazione, su 864 domande totali, ben 673 risultano ancora in corso. La seconda riguarda l’efficientamento degli immobili: esaurita la spinta del super bonus occorre mettere ordine alla selva di bonus restanti per costruire un’incentivazione fiscale intelligente (e magari evitare di sussidiare le caldaie a gas). La terza riguarda il risparmio energetico, al quale va riconosciuto il ruolo di leva strategica, visti i risultati oltre le aspettative durante la crisi energetica: infatti, tra settembre 2022 e febbraio 2023 la domanda di gas in Italia è calata del 20% rispetto allo stesso periodo dei tre anni precedenti, un calo che non ha intaccato la produzione industriale. I sussidi ai consumi durante la crisi erano sacrosanti, ma ora vanno sostituiti con misure di lungo periodo per consolidare risparmi e innovazione.
In questo contesto di medio periodo davvero non si capisce il senso di investimenti quali quelli nei rigassificatori.
Così come non si capisce l’opposizione alla ovvia e inevitabile transizione ai motori elettrici per il trasporto di terra, che sono superiori da tutti i punti di vista (tecnologici, energetici, economici etc.). Nel settore il messaggio subliminale che manda il governo italiano infatti è che il divieto per le auto a combustione sarà evitato con rocambolesche scappatoie (biocarburanti o ritardi, grazie alla revisione del 2026). Un messaggio che avrà come unico effetto quello di aumentare il ritardo con cui Stellantis, per non fare nomi, affronta questa sfida sui mercati mondiali. Sic stantibus rebus sembra infatti difficile che tra 10 anni ci sia ancora una grande azienda italiana di automobili.
Aldilà dei temi di sostenibilità, e senza neanche menzionare gli eventi catastrofici climatici che riempiono i tg italiani di questi giorni, sfugge davvero il senso economico delle politiche italiane.
(*) co-autore della Tassonomia UE degli investimenti sostenibili, in qualità di membro del gruppo di esperti della Commissione Europea (la PSF) e co-autore delle misure attuative della CSRD come membro del gruppo di esperti sulla sostenibilità EFRAG, incaricato dalla Commissione Europea. Oggi è Chief Sustainability Officer di Nomisma e Senior ESG Advisor di CRIF
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