L’Europa alla sfida di un fisco comune
Entro la fine dell’anno, “forse”, verrà presentato il progetto per la costituzione di un Fondo sovrano, finanziato da tasse europee, con cui sostenere la transizione ecologica dell’industria europea
di Sergio Fabbrini
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Entro la fine dell’anno, “forse”, verrà presentato il progetto per la costituzione di un Fondo sovrano, finanziato da tasse europee, con cui sostenere la transizione ecologica dell’industria europea. “Forse”, perché la proposta di Ursula von der Leyen sta incontrando forti resistenze da parte di diversi governi nazionali, ostili alla formazione di un debito europeo (con cui sostenere il Fondo). Eppure, come ci si può liberare dalla dipendenza energetica dalla Russia senza il sostegno di risorse fiscali europee gestite da istituzioni sovranazionali?
Secondo il grande sociologo tedesco Max Weber (1864-1920), «chi controlla le tasse, controlla il potere». Senza il monopolio pubblico sull’estrazione e la distribuzione delle risorse fiscali, non si sarebbero formati i moderni stati nazionali europei.
Le tasse hanno fornito, a questi ultimi, i mezzi con cui costruire gli apparati militari necessari per definire il territorio nazionale oltre che per espanderlo.
La sovranità fiscale e la sovranità militare hanno costituito le due facce, inscindibili, della sovranità statale. Attraverso le tasse, gli stati moderni hanno quindi sostenuto la crescita e il welfare domestici, indispensabili per il loro consolidamento. Non può stupire che gli stati, quando sono stati spinti ad aggregarsi, hanno avuto difficoltà a mettere in comune sia la sovranità fiscale che quella militare. Tale resistenza ha avuto però esiti diversi. Se si compara la vicenda dell’Unione europea con quella di altre unioni nate dall’aggregazione di stati precedentemente indipendenti (come l’America, oltre che la Svizzera), si possono comprenderne le ragioni. L’unione americana è stata creata alla fine del Settecento per difendere gli stati federati da una minaccia esistenziale esterna (i colonialismi) e interna (la ribellione). Di qui, l’autorizzazione fornita costituzionalmente al “centro federale” di estrarre le risorse fiscali con cui allestire sistemi di difesa e con cui promuovere sistemi di crescita, entrambi vantaggiosi per tutti gli stati federati. Invece, nel caso europeo del secondo dopo-guerra, la minaccia esistenziale esterna è stata affrontata attraverso la Nato (così sub-appaltando la nostra sicurezza militare agli americani), mentre la sicurezza economica è stata affrontata creando un mercato comune, integrato dai welfare nazionali, basato su una diffusa regolamentazione. Regolamentazione che non ha richiesto una fiscalità europea per essere implementata.
Dunque, due modelli diversi di governance fiscale sono stati adottati in America e in Europa. In America, è stata riconosciuta una capacità fiscale al “centro federale”, indipendente da quella degli stati, anche se molto più limitata di quest’ultima. La sovranità fiscale è stata divisa tra due livelli diversi di governo (federale e statale), dotando ognuno di essi dei mezzi per perseguire le proprie (distinte) politiche. In Europa, la sovranità fiscale è stata lasciata esclusivamente agli stati membri dell’Ue, anche se poi è stata così regolamentata (nell’Eurozona in particolare) da renderla poco più che formale. Così, nel modello europeo, contrariamente a quello americano, il “centro sovranazionale” ha continuato a dipendere dai trasferimenti finanziari degli stati membri per realizzare le sue politiche. Una dipendenza che ne ha limitato le possibilità d’intervento. Naturalmente, non sono mancate proposte per dotare il “centro sovranazionale” di una qualche autonomia fiscale dagli stati membri, dai rapporti Werner (1970) e McDougall (1977) a quelli dei Quattro Presidenti (2012) e di Monti (2014), tutte però inascoltate. Con l’esplosione della pandemia nel 2020, le cose sono però cambiate. L’Ue si è trovata ad affrontare una minaccia interna che nessuno stato membro avrebbe potuto affrontare da solo. Di qui, l’adozione di Next Generation EU, un programma per dotare il “centro sovranazionale” di risorse derivate da debito europeo, garantito dal bilancio comune e da nuove tasse europee. Un modello che avrebbe dovuto essere adottato anche per affrontare la guerra russa e le sue implicazioni (energetiche e militari). Eppure, così non sta avvenendo. Si sono attivate resistenze nazionali a creare un Fondo sovrano, così come si continua ad affidarsi esclusivamente alla Nato per la sicurezza. In particolare, i governi nazionali del nord non vogliono rinunciare alla loro esclusività fiscale, riproponendo il modello della regolamentazione fiscale per affrontare le sfide della transizione. Tuttavia, liberare l’economia europea dalla dipendenza dall’energia russa e la sicurezza europea dalla benevolenza americana richiede molto di più che una riforma del Patto di stabilità e crescita. Richiede di uscire dalla logica dell’emergenza, dotando l’Ue di un bilancio aperto con cui affrontare sfide strutturali. Un bilancio basato su risorse proprie, sincronizzato con la durata del Parlamento europeo (cinque anni e non sette anni come ora), utilizzato da un potere esecutivo portatore di una visione comune, controllato sia dai cittadini europei che dai governi nazionali. Intanto, un nuovo modello di governance fiscale potrebbe essere sperimentato, combinando una riformata regolamentazione fiscale (come richiesto dai governi nazionali del nord) con una limitata ma stabile capacità fiscale del “centro sovranazionale” (come richiesto governi nazionali del sud).
Insomma, la sicurezza economica e militare dell’Ue richiede il rafforzamento fiscale del “centro sovranazionale”. Sfide comuni richiedono risposte comuni finanziate da risorse comuni. Ciò è anche l’interesse nazionale dell’Italia. Come la scienza, anche la politica è contro-intuitiva.
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