analisiGlobal View

L’evitabile declino dei partiti tradizionali

di Nina L. Khrushcheva

(REUTERS)

4' di lettura

Circa ventisei anni fa, il presidente Boris Eltsin emanò un decreto che vietava l’attività delle cellule del Partito comunista all’interno di fabbriche, università e in tutti i posti di lavoro della Federazione russa. Ma quel decreto audace era per molti versi ormai superfluo: il Partito comunista dell’Unione sovietica (Pcus) che un tempo era visto come una temuta arma organizzativa, si era già affossato da solo per incapacità e brutalità, al punto da suscitare solo indifferenza nella gente.

Oggi, anche i grandi partiti politici dell’Occidente e di alcuni Paesi in via di sviluppo sembrano votati all’oblio. Ma se lo sgretolamento del Pcus era nella logica delle cose – il decreto di Eltsin fu emanato pochi mesi prima del crollo dell’Unione – il declino dei grandi partiti politici di Paesi come la Francia e l’India non è altrettanto facile da spiegare.

Loading...

In Francia il presidente Emmanuel Macron ha conquistato una schiacciante maggioranza all’Assemblée Nationale con il suo movimento che ha un anno di vita, gettando il Partito socialista a cui apparteneva quando era ministro dell’Economia, nell’immondezzaio della Storia di Trotsky. L’altro importante partito francese, i repubblicani del centro-destra che hanno ereditato la tradizione politica di Charles De Gaulle, non sembra andare molto meglio.
Fino a poco tempo fa, anche il partito laburista del Regno Unito, capitanato dal leader di estrema sinistra Jeremy Corbyn, sembrava a rischio di estinzione, ma è stato salvato dalla smaccata incapacità della premier Theresa May del partito conservatore. Resta però da vedere se Corbyn ce la farà a unire e consolidare il suo partito.

Nel mondo in via di sviluppo, l’India sta assistendo al declino dell’Indian National Congress, il partito di Jawaharlal Nehru, il primo premier indiano che portò il Paese all’indipendenza dall’Impero britannico. Sotto la debole leadership dinastica di Sonia Gandhi (vedova del primo ministro Rajiv Gandhi che fu assassinato, nipote di Nehru e figlio del primo ministro Indira Gandhi) e di suo figlio Rahul, ora il Congresso sembra incapace di mantenere persino le sue storiche roccaforti. Il suo principale rivale, il partito al potere Bharatiya Janata, sembra avere le elezioni parlamentari del 2019 già in pugno.

In Sudafrica un altro grande partito di liberazione nazionale, l’African National Congress, che ha contribuito a far crollare l’apartheid, sta vivendo un declino analogo. Dopo solo diciotto anni dalla fine della presidenza di Nelson Mandela, l’Anc sta crollando sotto la guida corrotta del presidente Jacob Zuma. E il prossimo anno, quando il partito dovrà scegliere il nuovo leader, potrebbe verificarsi una spaccatura fra le diverse fazioni rivali.

Ora, il tramonto dei grandi partiti non è una novità. Nell’Inghilterra dell’Ottocento e dei primi del Novecento, il grande rivale dei conservatori fu il partito liberale, non quello laburista. Grazie a figure come William Gladstone e David Lloyd George, il partito liberale fiorì e la sua ascesa terminò pochi anni dopo la Prima guerra mondiale, come racconta il giornalista e storico inglese George Dangerfield, nel suo libro The Strange Death of Liberal England.
In Italia, con lo scoppio di Tangentopoli nel 1992, gli storici partiti politici del dopoguerra – la Democrazia Cristiana, il Pci e i Socialisti – vissero una specie di estinzione di massa. L’anno seguente, il Partito conservatore del Canada venne sbaragliato alle elezioni parlamentari dove si ritrovò con due seggi sui 151 che aveva prima.

Sulla caduta dei partiti politici sono state avanzate diverse ipotesi. Per i partiti comunisti dell’Europa occidentale, il passaggio degli elettori della classe operaia alla classe media è stato ancora più fatale del crollo del regime sovietico.
Più in generale, nei Paesi in cui i governi di coalizione hanno partiti con ideologie simili, è facile che gli elettori cambino la loro preferenza. E questo vale ancor più oggi, con l’elettorato che ormai vede i partiti come marchi che si possono cambiare se non si dimostrano all’altezza dei propri gusti, più che come riferimenti di una lealtà tribale inattaccabile.

E poi oggi gli elettori si concentrano su una o due politiche chiave, più che su un intero programma di partito. È questa visione che ha permesso l’espansione di partiti monotematici come l’Ukip, il partito per l’indipendenza del Regno Unito.
E il ricorso sempre maggiore al referendum nelle democrazie del mondo sviluppato sembra la conseguenza naturale di questa tendenza verso una politica orientata al consumatore. Il problema è che i referendum mettono a repentaglio la credibilità, avallando decisioni sbagliate su quesiti semplicistici come è accaduto con il voto avventato per Brexit. In casi del genere Bertold Brecht diceva con ironia: «L’unica alternativa è sciogliere il popolo ed eleggerne un altro».

Ma se il voto orientato al consumatore può in parte spiegare il crollo di un partito come quello socialista francese, non spiega il declino dell’Indian National Congress e dell’Anc. Il loro problema sembra essere l’arroganza.
Per l’Indian National Congress è un’arroganza perlopiù ereditaria. Da Nehru a Indira e Rajiv Gandhi a Rahul, l’attuale incapace rappresentante del partito, la famiglia Gandhi ha visto la leadership e il controllo del Congresso come un diritto di nascita inalienabile, indipendentemente dalle capacità o dalle competenze individuali.

Quanto all’Anc, la sua arroganza ricorda di più quella del Pcus: un prepotente senso di “possesso” sullo Stato che fa passare la corruzione come una sorta di diritto elettorale. L’arroganza di questo genere può allontanare un partito dai suoi sostenitori che tenderanno così a cercare e trovare una possibile alternativa.

Ma in politica la morte non è sempre irreversibile. Il Partito rivoluzionario istituzionale messicano (Pri), per esempio, ha governato il Paese per settantun anni, poi nel 2000 è stato sconfitto. All’epoca tutti credevano che non sarebbe mai tornato al potere e invece, nel 2012, ci è riuscito con l’elezione dell’attuale presidente Enrique Peña Nieto.

Forse è per questo che la famiglia Gandhi e Zuma sono così indifferenti al declino dei loro partiti. Ma quelli che riescono a risorgere, riusciranno a essere come prima? Bella domanda.

(Traduzione di Francesca Novajra)

© Project Syndicate 2017

Nina L. Khrushcheva ha scritto Imagining Nabokov: Russia Between Art and Politics e The Lost Khrushchev: A Journey into the Gulag of the Russian Mind. Insegna Affari internazionali ed è vice rettore per le questioni accademiche della New School di New York e membro del World Policy Institute.

Riproduzione riservata ©

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti