L’export di servizi made in Italy verso quota 100 miliardi
di Micaela Cappellini
3' di lettura
A fine anno varrà 95 miliardi di euro, poco meno di un quinto di tutte le nostre esportazioni, eppure non se ne scrive quasi mai. Stiamo parlando dell’export di servizi, una fetta della nostra bilancia commerciale sotto la quale rientra una gamma di attività molto variegata: si va dai servizi finanziari a quelli legali, dai trasporti alle tlc, fino addirittura a una cena al ristorante, se a pagare il conto è un turista straniero. Ma soprattutto, rientra in questa sezione una delle categorie più promettenti dell’export di servizi, quelli informatici e digitali, e tra questi l’e-commerce è naturalmente il sorvegliato numero uno: secondo eMarketer, le vendite online nel mondo valgono già oggi il 10% del totale del mercato retail e nel giro di altri quattro anni si aggiudicheranno una quota di oltre il 15%.
Chi dell’export di servizi informatici ha già fatto il suo cavallo di battaglia per esempio è l’India: fra aggiornamenti del software, customer care a distanza e compilazione di analisi cliniche, per New Delhi i servizi rappresentano già oggi il 36% di tutto l’export del Paese. Anche in Kenya, grazie al turismo da una parte e alle telecomunicazioni dall’altra, i servizi costituiscono oltre il 40% delle esportazioni, mentre in Gran Bretagna i servizi finanziari e quelli assicurativi rappresentano circa il 44% della bilancia commerciale.
E in Italia? «Se sul fronte dell’export di beni siamo il decimo Paese al mondo - ricorda Alessandro Terzulli, chief economist di Sace - con una quota del mercato totale di quasi il 3% e 417 miliardi esportati nel 2016, su quello dell’export di servizi siamo solo quindicesimi, con una fetta di circa il 2,1%». Fatto cento il totale delle nostre esportazioni, i servizi oggi rappresentano il 18% del totale, contro una media mondiale del 23%. La buona notizia, però, è che si tratta di una fetta in crescita: «Le nostre stime da qui al 2020 - prosegue Terzulli - parlano di una crescita media annua del 4% per l’export di beni, e del 4,3 per i servizi. Più precisamente, la crescita dei servizi subirà un’accelerazione a partire dal 2019, quando il totale del loro export sfonderà per la prima volta il tetto dei 100 miliardi all’anno».
Di questi miliardi, oggi, la parte più consistente - circa il 40% -proviene dal turismo: non dimentichiamoci che l’Italia è ancora il quinto Paese al mondo per afflusso di visitatori stranieri. Ma anche nel nostro Paese i servizi digitali costituiscono una prospettiva promettente: «L’Italia - prosegue Terzulli - sta investendo molto nelle piattaforme e-commerce per far sbarcare le proprie aziende medio-piccole su mercati che per loro sarebbero altrimenti irraggiungibili, per esempio la Cina. Prova ne è l’accordo con Alibaba per creare sul portale una sezione Italia, che faccia da vetrina di sistema e da volano per l’export. Con l’e-commerce è vero che si esporta un bene, ma è anche vero che si vende un servizio. E le potenzialità sono notevoli: la Gran Bretagna ha recentemente calcolato che sfruttando al meglio l’economia digitale, il suo Pil potrebbe mettere a segno un’extra-crescita compresa fra lo 0,4 e lo 0,7%».
Le chance dell’Italia nel settore dei servizi informatici non si limitano solo all’e-commerce, ma riguardano anche i processi di efficientamento e automazione nei quali il nostro Paese ha molto da insegnare: dal controllo di produzione nell’industria meccanica all’agricoltura, fino ad arrivare all’Internet delle cose: «L’Ocse - spiega Terzulli - sostiene che anche nell’esportazione di un bene vada calcolata una parte di export di servizi, che può andare dalla logistica al design, all’assistenza post-vendita. È stato stimato che i servizi costituiscono circa il 30% del valore aggiunto delle merci esportate: significa che di quel 78% dell’export mondiale che fa capo alla sezione beni, un terzo circa andrebbe comunque ascritto ai servizi». E anche qui, appunto, le potenzialità sono molte.
Se l’Italia è solo il 15esimo Paese al mondo, nella classifica dei migliori esportatori di servizi svettano gli Stati Uniti, con oltre il 14% del mercato mondiale; seguono il Regno Unito, con una fetta del 7,3% - per la maggior parte finanziaria - e la Cina, con il 6 per cento. Persino l’India, con il 3,3%, supera l’Italia. Ma per cercare i Paesi a maggior crescita futura bisogna guardare a Est: «La Corea del Sud sta avanzando rapidamente sul fronte dei servizi - ricorda Terzulli - così come l’Indonesia e le Filippine. La stessa Cina punta molto sul digitale, dalla telefonia 5 G all’e-commerce». E proprio i Paesi emergenti sono quelli a mostrare il maggior dinamismo: dal 2010 a oggi il loro export di servizi è cresciuto del 37%, contro un aumento del 18% registrato fra le economie più avanzate.
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