L’export traina la moda junior, che ora guarda agli Stati Uniti
I marchi da che hanno allargato l’offerta alle collezioni per i “piccoli” sono sempre di più, soprattutto nel lusso; le catene come Zara e Oviesse continuano a conquistare fette di mercato, mentre i negozi multimarca (almeno in Italia) soffrono
di Silvia Pieraccini
2' di lettura
A guardare gli espositori di Pitti Bimbo, che si chiude oggi a Firenze con 230 marchi per il 75% stranieri, lo scenario della moda junior appare chiaro. Gli specialisti italiani del segmento sono sempre meno, falcidiati dalla pandemia, dalle piccole dimensioni, dalle difficoltà a esportare e dai consumi nazionali in contrazione; i marchi da “grandi” che hanno allargato l’offerta alle collezioni per i “piccoli” sono sempre di più, soprattutto nel lusso; le catene come Zara e Oviesse continuano a conquistare fette di mercato, mentre i negozi multimarca (almeno in Italia) soffrono; la stagione delle licenze, che pure aveva impresso dinamismo al settore, si è sgonfiata.
I numeri del settore
Nonostante questo l’industria tricolore regge il passo: nel 2022, secondo le stime di Confindustria Moda, il fatturato si è avvicinato a 3,2 miliardi di euro (3.184 milioni), con una crescita del 4,3% sul 2021 a prezzi correnti, spinta inevitabilmente dall’aumento dei listini per effetto dei costi produttivi. Il traino è arrivato ancora una volta dall’export (+12,2% a 1.465 milioni, pari al 46% del fatturato totale). Il saldo commerciale è peggiorato (-1.255 milioni rispetto a -672 milioni del 2021), ma il 2023 è cominciato in modo positivo. Poi, come per la moda da adulto, le vendite hanno rallentato in aprile e maggio: ora si attendono i saldi e si spera nell’autunno-inverno.
L’edizione di Pitti Bimbo
Pitti Bimbo resta una vetrina importante per presentare nuovi progetti e marchi o per celebrare anniversari, come ha fatto l’aretina Miniconf con la sfilata dei brand propri iDo e Sarabanda e di quelli in licenza Superga e Ducati per i 50 anni di vita aziendale. La fiera ha attirato anche progetti di nicchia come quello di Jesurum 1870, marchio veneziano di biancheria sartoriale per la casa: la titolare Paola Cimolai, alla nascita della figlia, ha deciso di ampliare l’offerta creando una collezione di abiti glamour, alla seconda stagione: «Quaranta anni fa mia madre aveva un’azienda di abbigliamento per bambini che poi fu comprata da Armani. Questo è un ritorno alle origini con un prodotto fatto al 100% in Italia, compresi pizzi e macramet». Progetto nuovo anche per Alessandro Enriquez che ha realizzato una collezione kids con stampe colorate e grafiche pop in co-branding col marchio pugliese Barcellino, specializzato in corredini, e parte del ricavato andrà ad Oxfam. Spinge sulla produzione automatizzata e sull’ecommerce invece il gruppo campano Catapano, coi marchi propri Fun&Fun e Glrs e le licenze kids di Siviglia, Marc Ellis e Odi et amo, che durante la pandemia ha riportato buona parte della produzione in Italia acquisendo anche un laboratorio di cucitura in Campania: «Nel 2022 abbiamo fatturato 18 milioni – spiega Eugenio Catapano, 23 anni – e quest’anno, grazie anche allo sviluppo dell’online, puntiamo a 21 milioni».
Intanto il settore bimbo, che nell’ultimo ha fatto grandi sforzi di internazionalizzazione, tenta lo sbarco in America, mercato difficile per marchi piccoli: nasce così Children’s Show, un salone internazionale che debutterà l’11 e 12 febbraio a Manhattan, organizzato da Igeco Usa, joint tra Italian exhibition group (Ieg) e Deutsche Messe col supporto di Ente moda Italia che selezionerà le aziende tricolore, una 15ina sulle 60 totali.
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