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A novembre dell’anno scorso, Matteo Marzotto aveva sbattuto la porta con rumore in Ieg, la società nata dalla fusione tra le fiere di Vicenza e Rimini, pochi giorni prima dell’atteso debutto a Piazza Affari. L’erede della storica famiglia industriale, chiamata a rappresentare la componente veneta del matrimonio, aveva lasciato la poltrona di vicepresidente in polemica. E poco dopo anche la quotazione in Borsa era naufragata. Nei giorni scorsi Ieg ce l’ha fatta ad approdare a Palazzo Mezzanotte (seconda matricola del listino principale quest’anno) e Marzotto lancia una proposta al paese: un grande progetto di fiera unica nazionale.
Oggi il figlio della compianta Marta Marzotto, regina dei salotti, è soddisfatto che Ieg ce l’abbia fatta perché proprio lo sbarco in Borsa punta i riflettori su un settore che necessiterebbe di un polo unico, una grande società dove far confluire tutti gli eventi. Marzotto ha già il nome in testa: “Fiere d’Italia”, con l’ambizione di fare quindi per il settore fieristico, diviso tra tanti operatori di provincia, quello che Pietro Salini sta provando a fare nel mondo delle costruzioni: un “Campione Nazionale”. Riunendo quindi tutti gli eventi sotto un unico cappello: da Parma, con Cibus la fiera della Food Valley, a Verona con Vinitaly, l’appuntamento più importante al mondo per l’enologia; da Rimini con il Wellness (che dietro ha la multinazionale Technogym di Nerio Alessandri) a VicenzaOro, il più importante appuntamento europeo per l’oreficeria.
Se alle 5 industrie già oggi coperte da Ieg (oltre a oreficeria e fitness, la pasticceria di Sigep ed EcoMondo), ragiona Marzotto, si aggiungessero i cosmetici (Cosmoprof) e le piastrelle (Cersaie) della Fiera di Bologna; più il vino e i cavalli di VeronaFiere e il design e gli occhiali di FieraMilano ecco che Italia avrebbe un colosso mondiale da 700 milioni di euro di fatturato. Che farebbe da volano per il Made in Italy, un grande polo al servizio delle eccellenze del paese.
«Sapeva che l’industria dei gioielli muove 7 miliardi di euro? Altrettanti ne muove l’industria dolciaria, dove Italia è numero uno al mondo. Ma tutti parlano solo del lusso che ha lo stesso giro d’affari, circa 8 miliardi. Le fiere sono la vetrina di queste industrie ma vanno aggregate sotto un solo cappello». La proposta che Marzotto lancia da Londra risuona più forte perché nelle campagne alla periferia estrema della capitale, nel sobborgo di Richmond Upon Thames, c’è il quartier generale del gruppo Reed Expo, il numero uno al mondo negli eventi e nelle fiere: una corazzata da 500 eventi che coprono 43 settori e richiamano ogni anno 7 milioni di visitatori, generando un fatturato di 1,1 miliardi di sterline.
Inghilterra, Germania e Francia sono i paesi leder nelle fiere oggi. L’Italia rimane al palo, eppure dal cibo alla moda, dal lusso al design ha una filiera impareggiabile. «Abbiamo i più bei prodotti al mondo, che tutti ci invidiano, e abbiamo anche gli eventi, da Vinitaly Salone del Mobile, ma ognuno è gestito da una singola fiera che di fatto vive di una sola manifestazione», lamenta Marzotto. Così si disperdono risorse ma soprattutto ogni fiera rimane piccola: «Vicenza – nota –fattura appena 30 milioni» e la neomatricola Ieg arriva a 160 milioni, un nano rispetto ai colossi internazionali: manca quella stazza per competere con i gruppi europei e mondiali.
L’imprenditore immagina il coinvolgimento di Cdp o Sace come registi e finanziatori per creare una holding pubblica che riceverebbe le quote dei vari enti locali soci delle fiere (liquidandoli totalmente o mettendoli in minoranza). E poi quoterebbe una quota sostanziosa, ma di minoranza, del nuovo soggetto in Borsa. Col 51% in mano pubblica, nascerebbe un soggetto di mercato ma allo stesso tempo un vero strumento di internazionalizzazione dell’impresa italiana.
Capitali pubblici, e guida privata: «Al comando vedrei bene manager del calibro di Stefano Cao. Oppure un Andrea Guerra, se non fosse impegnato con Eataly». E un suo diretto coinvolgimento? Marzotto si schermisce: «Lo faccio mosso da uno spirito di Civil Servant, per amore del paese come nella tradizione della mia famiglia». Il bis-bisnonno Gaetano costruì a Valdagno i primi villaggi sociali per dare casa, scuola e ospedali agli operai delle loro fabbriche tessili.
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