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L’importanza dei dati per risolvere i problemi retributivi

Circa tre quarti (75%) dei lavoratori italiani prenderebbe in considerazione l’idea di cercare un nuovo lavoro se scoprisse un ingiusto divario retributivo tra i sessi o l’assenza di una politica di diversità e inclusione nella propria azienda, come ha rilevato il rapporto annuale “People at Work: A Global Workforce View”

di Marcela Uribe

(Blend Images / AGF)

3' di lettura

Circa tre quarti (75%) dei lavoratori italiani prenderebbe in considerazione l’idea di cercare un nuovo lavoro se scoprisse un ingiusto divario retributivo tra i sessi o l’assenza di una politica di diversità e inclusione nella propria azienda, come ha rilevato il rapporto annuale “People at Work: A Global Workforce View”. Sebbene questa percentuale sia prevalentemente composta da donne (78%), gli uomini non sono da meno (72%), e i dipendenti più giovani sono tra i maggiori sostenitori di tali politiche (85% tra i 18 e 24 anni, contro il 61% degli over 55).
Non c’è modo di individuare le discrepanze retributive discriminatorie senza dati accurati sulla composizione della forza lavoro, e in questo i dati raccolti attraverso le informazioni sulle buste paga sono fondamentali. La retribuzione è il diritto più importante che un datore di lavoro offre ai dipendenti: i dati che vengono utilizzati per fornire questo diritto sono ricchi e dovrebbero essere sfruttati per supportare le strategie di diversità, equità e inclusione. Se le organizzazioni comprendono meglio il loro DNA unico, si trovano in una posizione migliore per coinvolgere i propri talenti in modo umano-centrico, in modo da creare ambienti di lavoro sicuri, inclusivi e innovativi che favoriscano esperienze di lavoro e di vita.
La maggior parte delle aziende dispone già delle informazioni necessarie per determinare se esiste un divario retributivo di genere o una discriminazione basata ad esempio sull’età. Tuttavia, in genere le aziende non sanno da dove cominciare quando si tratta di misurare il proprio divario retributivo di genere.
Il 30 settembre 2022 è scattata la prima deadline per la stesura del rapporto biennale obbligatorio recante le retribuzioni e le certificazioni di parità tra i gender all'interno delle aziende con almeno 50 dipendenti. Il rapporto è stato redatto per ognuna delle professioni e in relazione allo stato di assunzioni, formazione, promozione professionale, livelli, passaggi di categoria o di qualifica, intervento CIG, licenziamenti, prepensionamenti e pensionamenti, retribuzione effettivamente corrisposta. Il tutto al fine di abbattere il divario di genere. Nel dicembre 2021 è infatti entrata in vigore la legge 162/2021 a modifica del Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna, volta a intervenire sulle differenze salariali e professionali tra i due sessi nel mondo del lavoro.
Una considerazione fondamentale è: come si misura l’equità retributiva di genere? Ad esempio con l’autoidentificazione volontaria. Quest'ultima consente ai dipendenti di condividere in modo anonimo i propri dati demografici e i gruppi sociali in cui si identificano. Queste informazioni aiutano l’organizzazione a implementare strategie che costruiscono una cultura di appartenenza - che riflette le comunità in cui operano e i clienti che servono - misurando i progressi verso gli obiettivi di diversità. Per garantire l’equità retributiva quindi, il collegamento più potente è quello tra l’auto-identificazione e le informazioni sulle buste paga. Con l’auto-identificazione, è possibile comprendere la composizione demografica dell’azienda, esaminare la retribuzione di ciascun gruppo e quindi implementare le strategie per colmare eventuali divari esistenti. Secondo un recente studio di ADP, circa l’81% delle aziende a livello mondo sta consultando i dati sulle retribuzioni per informare le proprie strategie DEI.
L’atteggiamento delle aziende nei confronti della diversità, dell’equità e dell’inclusione (DEI) sul posto di lavoro sta rapidamente diventando una questione fondamentale per i lavoratori.
Un dipendente italiano su 4 (23%) ritiene che la propria azienda abbia implementato negli ultimi tre anni una politica contro il divario retributivo di genere, a favore di diversità e inclusione. Nonostante ciò, secondo il giudizio dei lavoratori rimane un 46% di aziende che sostiene l’importanza di queste politiche ma non ne ha mai implementata una.
Le organizzazioni che perseguono iniziative DEI devono guardare con attenzione e utilizzare un approccio basato sui dati, e i fatti, per capire dove sono le proprie carenze. Solo così un’organizzazione può identificare e correggere eventuali gap retributivi. Non si può dire di essere inclusivi e non considerare il divario retributivo. Se presente, occorre mettere in atto strategie per assicurarsi che tale divario si riduca a zero.

General Manager South Europe ADP

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