L’impresa post pandemia: visione e reattività, flessibilità e competenze
Il management più lungimirante ha intuito un’opportunità irripetibile per colmare alcuni gap strutturali e per conquistare millennial e Gen Z
di Gianni Rusconi
4' di lettura
Trasformazione digitale, ripensamento dei processi critici, riorganizzazione del lavoro e degli spazi operativi, ma anche sostenibilità e inclusione: gli argomenti sul tavolo dei manager, in questa seconda fase della ripartenza post-pandemia, sono tanti e chiamano le aziende a un passo in avanti che spesso e volentieri non sono in grado di affrontare da sole. Il “new normal” è una nuova forma di complessità per ogni impresa e il discorso vale ovviamente anche per le società di consulenza, che stanno assumendo (non a caso) un ruolo ancora più rilevante nel processo di transizione. Ma quali sono i cardini dell’evoluzione della consulenza strategica, in particolare in questo ultimo anno? E quali sono, soprattutto, le sfide che si apprestano ad affrontare al fianco delle aziende? Ne abbiamo parlato con Roberto Prioreschi, Managing Director di Bain & Company in Italia e Turchia.
La pandemia ha accelerato in molti ambiti il processo di trasformazione: cosa è successo e cosa succederà nel vostro campo?
Ci siamo trovati di fronte a una crisi multidimensionale senza precedenti, combattendo un nemico invisibile che ha colto impreparati anche i Paesi più organizzati e strutturati. Anche il settore della consulenza strategica ha dovuto velocemente adattarsi al nuovo scenario, sia nell’organizzazione interna che nella relazione con i clienti. La pandemia ci ha fatto virare verso un nuovo modo di lavorare che porteremo avanti nel tempo, garantendo un giusto equilibrio tra lavoro virtuale e fisico, e anche il supporto offerto in questi mesi ai clienti è cambiato. Ci siamo presto resi conto che portata avesse il cambiamento in atto e di quanto, in quel contesto, la capacità di offrire risposte coordinate e coerenti in ottica “future back” potesse essere ancora più importante.
La priorità iniziale quale è stata?
Aiutare i top manager nel fare le cose giuste per gestire l’emergenza e, in un momento successivo, supportarti nel prendere le decisioni migliori per rilanciare il business, rispondendo a domande circa dove investire, cosa fare per esprimere il pieno potenziale dell’organizzazione, come trasformare il proprio modello operativo per vincere nel nuovo scenario e come gestire al meglio, da parte del leadership team, il capitale umano nella nuova fase di rilancio. In generale credo che sia stata una prova generale per un mondo nuovo, anche dal punto di vista consulenziale, che sarebbe arrivato comunque, ma che abbiamo dovuto costruire dall’oggi al domani, giocando d’anticipo sui normali ritmi di evoluzione.
Nelle aziende quale il fattore di cambiamento più evidente?
La pandemia è stata uno stress test per molte imprese italiane, in particolare per quelle piccole e più giovani. Le realtà più strutturate e, soprattutto, i top manager più visionari, reattivi e competenti hanno invece agito con velocità, prima nel gestire la crisi e subito dopo ripensando i modelli operativi per rimanere competitivi e avviare importanti processi di trasformazione, anticipando in questo modo la ripresa. E sono proprio queste ultime le realtà che giocheranno un ruolo centrale nel rilancio del sistema Paese e che hanno riscoperto l'importanza delle proprie risorse, della loro capacità di dialogare e di adattarsi, ripensando anche lo stile di leadership.
L’organizzazione aperta, le competenze trasversali, i modelli di lavoro ibridi: sono veramente questi i capisaldi per l’impresa di domani?
L’eredità che ci lascia la Covid-19 è la consapevolezza che viviamo, e continueremo a farlo, in una storia di massima imprevedibilità. La capacità di innovare e l’adozione di nuovi modelli operativi in grado di combinare digitale e fisico, di soluzioni che sappiano mescolare strategia e flessibilità, di nuove competenze tecniche e umane non sono i pillar dell’impresa di domani, bensì i requisiti dell'impresa di oggi.
Il top management è realmente più sensibile ai temi della sostenibilità e della transizione digitale?
Parlando con le aziende, l’aspetto emerso più chiaramente è che la crisi non ha cambiato le strategie in questi ambiti, le ha solo accelerate: una tabella di marcia di qualche anno è diventata improvvisamente di qualche mese. Il management più lungimirante ha compreso che il contesto post-Covid non era solo un’opportunità irripetibile per colmare alcuni gap strutturali, ma un’occasione unica per conquistare millennial e Gen Z, e cioè i consumatori che nei prossimi anni premieranno le realtà che hanno più profondamente ripensato i propri processi, adattandoli in ottica di sostenibilità e digitalizzazione alla nuova era.
C’è un settore che maggiormente sta facendo propri i dettami del “new normal”, come agilità competitiva, collaborazione…?
Non esistevano, per nessun settore, approcci di “crisis management” che potessero essere usati come benchmark per affrontare quanto successo. Si è trattato non solo di rimanere a galla, ma di immaginare quali delle abitudini consolidatesi durante la pandemia fossero destinate a sopravvivere in futuro. Per questo tutti i settori hanno dovuto fare un enorme sforzo, ripensando i propri modelli e paradigmi e le modalità di vicinanza ai clienti e dipendenti.
Chi è, nell'era post pandemica e cliente centrica, l'interlocutore chiave in azienda per la società di consulenza? E perché?
La figura chiave rimane il Ceo, che deve affrontare una sfida enorme: per decenni, gli amministratori delegati hanno preso decisioni di business su base pluriennale, ora si trovano a dover agire rapidamente, anticipando i repentini cambi di comportamento dei clienti, le novità tecnologiche e le mosse dei competitor.
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