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L’indagine Covid e l’autotutela della magistratura

L’esercizio della funzione giudiziaria, per definizione, deve essere libero da pre-giudizi e da tesi pre-confezionate: solo così può affermarsi, sempre, quale attività tesa alla emersione della verità negli ambiti in cui si esercita la propria competenza.

di Federico Maurizio d'Andrea

3' di lettura

L’esercizio della funzione giudiziaria, per definizione, deve essere libero da pre-giudizi e da tesi pre-confezionate: solo così può affermarsi, sempre, quale attività tesa alla emersione della verità negli ambiti in cui si esercita la propria competenza.

È nel diritto proteso alla Giustizia che si esprime e trova linfa vitale la coesistenza di una comunità, la cui vita, altrimenti, sarebbe (s)regolata o dalla bieca legge del più forte o per rispondere alle sollecitazioni della piazza, con sponda in una deleteria (dis)informazione televisiva urlata e sempre alla ricerca di qualcuno da dare in pasto alla opinione pubblica.

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Ma una cosa sono le grida della piazza, anche televisiva, altro è l’esercizio della funzione giudiziaria.

In questa, non vi è spazio per il perseguimento di finalità diverse dall’accertamento della verità, nella continua riaffermazione del principio della uguaglianza di tutti dinanzi alla legge, a cominciare dalle Autorità politiche che, come non devono in nessun modo essere esenti da responsabilità, contemporaneamente, tuttavia, non devono essere usate come viatico per una passeggera vanagloria personale.

Con riferimento alle indagini sul Covid (pandemia che ha sconvolto il mondo, ma le cui indagini sono state condotte, di fatto, da un’unica Procura della Repubblica Italiana) ognuno, oggi, può chiedersi se quanto da più parti scritto e propagato negli anni scorsi corrispondeva alla realtà o se, viceversa, lo spargimento di illusorie menzogne serviva solo per “gettare la croce” su qualcuno, nella totale incuria degli effetti disinformativi che si producevano nell’opinione pubblica.

La ricerca della responsabilità non ha secondi fini, non insegue il consenso, non è vittima di mediocrità originata da luoghi comuni: soprattutto, non tollera intimidazioni, sopraffazioni o aggressività, ma necessita di ferreo senso della propria funzione pubblica e paziente opera di comprensione e ricostruzione – per quanto ricostruibile – di ciò che è accaduto.

Gli elementi di incompletezza espositiva evidenziati nell’ordinanza del Tribunale dei Ministri meriterebbero di costituire oggetto di studio per chi voglia svolgere funzioni inquirenti, perché vi si trova molto di ciò che un investigatore professionale, se animato dal desiderio di credibilità, non deve fare, in particolar modo nel rispetto dell’articolo 358 del codice di procedura penale («Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell’articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini»).

Tra l’altro, il solo aver permesso l’ingresso, nelle carte procedimentali, di una sorta di inspiegabile “matematizzazione” delle vittime di una pandemia che ancora oggi divide gli scienziati di tutto il mondo, dovrebbe costituire oggetto di riflessione da parte di chi, per Costituzione (articoli 104 e 105), ha il dovere di salvaguardare il prestigio, prima ancora della autonomia e della indipendenza, dell’ordine giudiziario.

La specificità intellettuale del sistema Giustizia è stata, per fortuna, riaffermata non appena si è passati dalla suggestione della “piazza” alla serietà delle aule giudiziarie: lì, grazie alla sapienza tanto degli inquirenti quanto dei giudicanti, hanno trionfato quei principi giuridici sacrosanti che hanno ribadito la forza dello Stato di diritto e che, se fossero stati applicati sin da subito, avrebbero impedito, ab origine, l’inizio di questa imbarazzante vicenda giudiziaria.

Nei cui confronti è doverosa una approfondita analisi: perché se la magistratura non sarà capace di essere selettiva al proprio interno, radicalmente selettiva nel continuo (e non solo in fase concorsuale), perderà definitivamente decoro e autorevolezza e sarà ridotta, nell’immaginario collettivo, al rango di una qualsiasi “casta”, del tutto autoreferenziale, alla quale guardare non con fiducia ma unicamente con paura.

Nonostante ciò, l’auspicio è che la magistratura, unitaria, indipendente e autonoma, sia sempre tutela delle persone, mai asservita a chicchessia e garanzia di libertà.

Per il perseguimento di queste finalità, gli inquirenti, animati dalla “volontà di verità”, non solo non devono essere, ma nemmeno apparire, inquisitori a caccia di eretici bensì i primi garanti (“oltre ogni ragionevole dubbio”) della conoscenza del diritto e del rispetto delle regole, da un lato, evitando la pericolosissima deriva (e i prodromi ci sono tutti) di una società dominata dai primitivi, volgari istinti di sopraffazione politica coniugati a rozze logiche poliziesche e, dall'altro, contribuendo a riaffermare, tramite una operosità seria e rigorosa, l’ordine, altamente democratico, implicito nel brocardo «suus cuique tribuere».

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