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L’inflazione mette ko i consumi. Ogni italiano nel biennio ha perso 6.700 euro di potere d’acquisto

Verso un autunno all’insegna della spending review, con 27 milioni di italiani (+50%) che non riescono a raggiungere uno standard di vita minimo

di Enrico Netti

Maura Latini e Marco Pedroni alla presentazione del rapporto Coop 2023 (Ansa)

3' di lettura

Emergono numeri allarmanti del Rapporto Coop 2023. Solo l’11% degli italiani prevede di aumentare i consumi nei prossimi mesi mentre poco più di un terzo, il 36% per la precisione, intende ridurli perchè è sempre più difficile arrivare a fine mese. «Gli italiani che dichiarano una condizione di disagio crescono in due anni del 50%: sono oggi 27 milioni coloro che dichiarano di non riuscire sempre ad avere uno standard di vita minimo accettabile. Questo impatta sui consumi - spiega Albino Russo, direttore generale dell’Associazione nazionale cooperative di consumatori-Coop (Ancc) -. L’estate ha evidenziato un cambio di passo nelle scelte dei consumatori che prima si erano affidati ai risparmi pregressi, avevano speso i redditi aggiuntivi del periodo della pandemia, si erano anche indebitati un po’ di più. Con l’estate hanno capito che questa strategia non è più sufficiente, infatti molti sono rimasti a casa e ora si preparano ad una manovra di una spending review per l’autunno».

Il Rapporto Coop evidenzia la frenata di tutta una serie di investimenti importanti per le famiglie, dal calo delle compravendite immobiliari, delle auto e dei prodotti high tech come smartphone e tv. Quando è necessario si scelgono prodotti usati, di seconda mano. È un effetto collaterale dell’inflazione che nell’ultimo biennio ha fatto calare il potere d’acquisto di 6.700 euro procapite. Nel carrello della spesa finisce il minimo indispensabile, la spesa diventa più frequente, l'attenzione al risparmio fa piazza pulita della fedeltà al canale di acquisto, discount e la marca del distributore sembrano ancore di salvezza. Lo stipendio non basta perché il lavoro non paga quanto dovrebbe e il 70% degli occupati dichiara di avere necessità almeno di un’altra mensilità per condurre una vita dignitosa. Il carovita spinge quasi 27 milioni di italiani (+50%) in una condizione di strisciante disagio. E solo un italiano su 4 dichiara di fare la stessa vita di qualche anno fa. La crisi non risparmia nemmeno la classe media: meno della metà delle famiglie di questo censo riuscirebbe a fare fronte senza difficoltà ad una spesa imprevista di 800 euro e solo un terzo ad una di 2.000 euro.

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Allarme pre recessione

«Ci aspettiamo che non sia sottovalutata questa situazione che può portare rapidamente a un quadro recessivo e quando la recessione si fa evidente, sappiamo che gli impatti sono poi molto più difficili da correggere - rimarca Marco Pedroni, presidente Ancc-Coop -. Il lavoro povero ha ormai raggiunto livelli preoccupanti, soprattutto tra i giovani. Oggi siamo in una fase pre recessione. Chiediamo al Governo azioni concrete, in primis il taglio del cuneo fiscale e la detassazione degli aumenti salariali, poi di aiutare la parte più debole del Paese non solo attraverso la social card per gli indigenti ma anche attraverso il sostegno all'introduzione del salario minimo». E se il nodo è nelle risorse perché la coperta troppo corta «si possono trovare risorse per la prossima manovra anche chiamando in causa chi sta meglio. Sul tema degli extra profitti delle banche sono favorevole, non è detto che la forma sia la migliore - aggiunge il presidente Ancc-Coop -. È possibile farlo per sostenere la domanda come fece Prodi quando chiese un contributo alle persone con reddito più alto quando siamo entrati nell’euro. Un governo di destra che si pone questi temi sociali può rivolgersi anche a loro».

Speranze per il patto anti inflazione

Intanto continuano i lavori per definire il patto anti inflazione. Domani si terrà un incontro al Mimit spiega Alessandro d’Este, vicepresidente di Centromarca. «I canali sono assolutamente aperti. Abbiamo incontri proprio prossimi, nella giornata di domani tramite le associazioni. Ci saranno Federalimentare, Centromarca, Ibc che sono evidentemente portate a chiamare l’industria a fare la propria parte - dice d’Este -. Io sono molto ottimista, assolutamente». All’inizio di agosto al Mimit c’era stata una dichiarazione di intenti siglata dalla distribuzione in vista di una firma dell’accordo entro il 10 settembre. In quella occasione l’industria si era sfilata ma la porta non è mai stata chiusa definitivamente. «L’industria è sempre stata aperta al dialogo, innanzitutto coi consumatori perchè non possiamo prescindere dal rapporto coi consumatori italiani - continua d’Este a margine della presentazione del Rapporto Coop 2023 -. Poi sappiamo perfettamente che non ci arriviamo direttamente ai consumatori per cui grande apertura anche alla distribuzione nonché nei confronti delle istituzioni pubbliche, del governo. Quando siamo chiamati in causa su tematiche così sensibili per il Paese, nella difesa del potere di acquisto, coi dovuti distinguo, con l’attenzione necessaria rispetto a tematiche competitive, per capirci non possono esserci dei cartelli, c’è una grande apertura».

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