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L’informatica scova il criminale: ecco come sono cambiate le indagini

Dal riconoscimento facciale all’analisi delle voci, fino all’Age-progression

di Ivan Cimmarusti e Bianca Lucia Mazzei

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2' di lettura

«Sono loro che ci hanno aggredito, come li avete trovati?…». Il Capodanno 2022 in piazza Duomo, a Milano, s’era concluso da pochi giorni. Ma il Servizio di polizia scientifica era già riuscito a ricostruire i volti e individuato i nomi del “branco” che aveva violentato alcune giovani ragazze.

Sono stati i nuovi sistemi informatici di Intelligenza artificiale (Ai) a dare impulso a quell’indagine e permettere l’arresto e, nei mesi scorsi, le prime condanne. L’algoritmo è entrato prepotentemente nel mondo investigativo, mutandone l’approccio e mischiandosi con i tradizionali metodi di accertamento giudiziario. Il controllo umano resta la base, ma attraverso questi strumenti è possibile tracciare volti, ricostruire targhe di autoveicoli, analizzare voci, ripulire audio compromessi da rumori di sottofondo, ma anche prevedere l’invecchiamento di un latitante, come nel caso dei boss di Cosa nostra Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro. Macchine che, tuttavia, non hanno un diretto risvolto incriminatorio. Perché con le recenti linee guida adottate il 26 aprile scorso dal Garante europeo per la protezione dei dati personali è stato previsto che il riconoscimento facciale compiuto con l’Ai debba essere sempre supervisionato dall’uomo. L’utilizzo nella fase dibattimentale è ammesso solo se sulle informazioni elaborate dalla macchina sia stato compiuto «un accertamento tecnico manuale di confronto fisionomico, effettuato da operatori specializzati secondo delle metodologie riconosciute in ambito internazionale», è annotato nei documenti di prassi.

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Il Servizio di polizia scientifica può contare su diversi software di questo tipo, tutti rientrati nella definizione contenuta nella proposta di «regolamento del Parlamento e del Consiglio europeo che stabilisce regole armonizzate sull’Intelligenza artificiale» (si veda l’articolo in basso).

Per esempio, c’è il Sari (Sistema automatico di riconoscimento immagini). Adottato dal 2018, è impiegato per il riconoscimento facciale ed è inserito all’interno dell’Afis (Automated fingerprint identification system), banca dati sviluppata per l’analisi delle impronte digitali. Il Sari sfrutta due distinti riconoscimenti facciali: è la stessa macchina che impiega l’uno o l’altro a seconda degli input dati dagli operatori. Le sue performance sono testate dal Nist, il National institute of standards and technology, ente statunitense che esamina gli algoritmi, confrontandone i risultati. Le ultime valutazioni lo indicano come uno dei più evoluti nell’accertamento anti-crimine. Un fiore all’occhiello per la Polizia di Stato, alimentato dalle informazioni contenute nel grande archivio riservato delle forze di polizia.

In uso alla Scientifica non c’è, però, solo il Sari. L’Intelligenza artificiale, sempre associata al controllo umano, è impiegata anche in altri programmi informatici. C’è il video-analitics, cioè l’analisi automatica di filmati che permette l’estrazione di informazioni come autovetture, soggetti e targhe, ma anche il sistema di analisi della voce e l’elaborazione di identikit. Di particolare rilievo, poi, è il software di Age progression: un programma che, partendo da un’immagine, riesce a prevedere il possibile invecchiamento del soggetto fotografato. È stato utilizzato per la ricostruzione dei volti dei latitanti. Infine, si registra il Denoising delle immagini di volti e targhe: un processo di rielaborazione di fotografie particolarmente logorate.

Lo sviluppo dei sistemi di Intelligenza artificiale applicata al mondo investigativo è ormai una realtà ampiamente diffusa. Tanto che sono in corso rapporti di collaborazione con università, Cnr ed Enea per sviluppare e testare nuovi algoritmi sempre più performanti.

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