L’innovazione, la cultura e il valore intrinseco di Milano
«La tradizione è salvaguardia del fuoco e non adorazione delle ceneri». Vale la pena ricordare un giudizio di Gustav Mahler, uno dei principali innovatori della musica nella complessa transizione tra Ottocento e Novecento
di Antonio Calabrò
3' di lettura
«La tradizione è salvaguardia del fuoco e non adorazione delle ceneri». Vale la pena ricordare un giudizio di Gustav Mahler, uno dei principali innovatori della musica nella complessa transizione tra Ottocento e Novecento, per cercare di approfondire la conversazione avviata su autorevoli giornali a proposito del concerto di Paolo Conte alla Scala di Milano, in programma domani sera.
Gli interventi (Piero Maranghi, Vittorio Sgarbi e Alberto Mattioli su «Il Foglio», Francesco Merlo e Milena Gabanelli su «la Repubblica» e Filippo Facci su «Libero») hanno espresso posizioni contrastanti, dalle accuse di “profanare La Scala” con canzoni e jazz alla contestazione dei “fanatici” della conservazione, dalla differenza tra musica “alta” e “bassa” alla necessità di aprire un luogo “classico” a pubblici diversi dagli abituali frequentatori di una delle istituzioni internazionali della grande musica.
I ragionamenti da fare, a mio parere, riguardano le relazioni fra tradizione e innovazione, necessità della memoria e passione per il futuro. Ma anche il carattere specifico della cultura milanese, che ha fatto di questa città un punto di riferimento della cultura e della creatività di respiro internazionale: un carattere fortemente segnato dall’inclinazione al cambiamento, nell’alveo d’una profonda consapevolezza del valore della storia. La Scala, anche in questa vicenda, ne è conferma.
Sono valori che, per fare solo alcuni esempi, si ritrovano nella lezione politica e civile di un sindaco come Antonio Greppi, protagonista del socialismo umanitario e riformista nel dopoguerra, impegnato a coniugare le scelte per creare lavoro alle iniziative di welfare e all’impegno culturale (la ricostruzione della Scala e dell’Accademia di Brera). E che hanno un’eco nella nascita del Piccolo Teatro di Milano, nel 1954, per l’intraprendenza di Paolo Grassi e di Giorgio Strehler, con il sostegno di esponenti della grandi famiglie imprenditoriali, come i Pirelli, i Borletti e i Falck: un teatro aperto alle voci più originali dell’esperienza europea, radicalmente innovatore, pronto a rappresentare le opere di Bertolt Brecht e a trasformare linguaggi e rappresentazioni, ben oltre la consuetudine con una tradizione che troppo spesso aveva sapore di maniera (ne sarebbe seguita, anni dopo, l’innovazione del Teatro Parenti, con le opere di Testori).
Innovazioni di ampio respiro, appunto. Cultura d’avanguardia. E popolare. Capace di rotture. E di definizione di nuovi canoni. Con la consapevolezza di dover considerare «la cultura come il pane» (per riprendere il brillante titolo di un articolo di Silvestro Severgnini sulla “Rivista Pirelli” del 1951). Eccolo, appunto, un cardine del miglior costume culturale e civile di Milano, del “rito ambrosiano” che si allarga dalla chiesa alla società: l’innovazione. Le architetture di Gio Ponti e il design dei grandi maestri ne sono riprove.
Senza attitudine critica all’innovazione, in tutti i campi, insomma, Milano non sarebbe Milano.
È un’attitudine forte, naturalmente, nel mondo dell’impresa, quanto mai vitale ancora adesso, in stagioni difficili e controverse di Intelligenza artificiale e twin transition ambientale e digitale, stravolgendo assetti economici e sociali e costruendone di nuovi e migliori. E che proprio nella relazione fertile tra industria e cultura trovano una solida leva di trasformazione. Di metamorfosi, con lo sguardo rivolto alle nuove generazioni.
Innovazione nel mondo della musica, sapendo bene che la cultura è, proprio nell’idea mahleriana della tradizione, confronto, contaminazione, sperimentazione, creatività, costruzione di nuove condizioni di crescita.
Il grande concerto di Keith Jarrett proprio alla Scala, nel febbraio del 1995, ne è stato una chiara testimonianza (e anche allora, qualche muso lungo, qualche indignazione, qualche sopracciò). Ma anche i programmi di MiTo, in un dialogo costante tra luoghi di rappresentazione e attori culturali ed economici diversi. I programmi dell’Orchestra Sinfonica di Milano. Le tante iniziative (PianoCity, per esempio) per costruire inediti nessi tra i luoghi tradizionali della musica e i pubblici da conquistare e fare crescere. Anche portando la musica negli ambienti di lavoro (il “Canto della fabbrica” dell’Orchestra da Camera Italiana diretta da Salvatore Accardo negli stabilimenti Pirelli ne è un esempio).
La cultura, in altri termini, o è aperta, popolare, innovativa, trasformativa, o perde parte importante del proprio valore. E nell’ambizione di voler contribuire a costruire “una storia al futuro”, anche il concerto di Paolo Conte alla Scala è un passaggio fondamentale.
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