L’intelligenza artificiale in cerca di una strategia nazionale integrata
L’Europa ha puntato su un approccio di «human-centred Ai». In Italia sono state adottate misure, ma si fatica ad avere una visione unitaria
di Fosca Giannotti e Dino Pedreschi
4' di lettura
Giusto un anno e mezzo fa, in un’altra epoca, ragionavamo su queste pagine sulla strategia italiana sull’intelligenza artificiale (Ai). Cosa è successo da allora? In Europa, parecchie novità. Si è consolidata la via europea alla “Human-centred Ai”, il disegno e l’uso responsabile di sistemi di Ai che pongano al centro i diritti, il benessere e i valori delle persone, sia come individui che come collettività. In seguito alla definizione delle linee guida etiche per forme di Ai di cui aver fiducia, la strategia europea si è consolidata attraverso una serie di provvedimenti di indirizzo sull’Ai, sui dati, sulle piattaforme.
Concretamente la Ue ha lanciato un programma di reti di centri di eccellenza in Ai e ha fatto della “Ai made in Europe”, collegata con dati e robotica, un tema pervasivo del nuovo programma quadro Horizon Europe, dotato di generosi finanziamenti per i prossimi sette anni. Un quadro che sfida le imprese a innovare con coraggio.
L’approccio, di cui l’Europa è pioniera, si è diffuso anche a livello internazionale. L’Ocse ha convenuto che l’Ai deve essere sicura, responsabile, trasparente, equa e centrata sulla persona, e la Gpai, la Global partnership on Ai, lavora a costruire strumenti per la collaborazione multilaterale fra governi per perseguire queste finalità, in riferimento ai diritti umani e agli obiettivi per lo sviluppo sostenibile. Gli scienziati italiani hanno avuto un ruolo importante nella definizione di questi scenari. Grandi centri di Human Ai sono sorti un po’ ovunque.
Non era un fuoco di paglia, insomma. Si trattava di un “megatrend” inarrestabile, che chiama i Paesi a dotarsi di strategie nazionali coerenti e ambiziose. Due esempi: Francia e Germania, due piani simili partiti nel 2019 e articolati per metà su ricerca sia fondamentale che multidisciplinare insieme con promozione e formazione dei talenti, e l’altra metà su diffusione dell’Ai nell’industria, nella pubblica amministrazione e nella società. Investimento pubblico di un miliardo e mezzo di euro su quattro anni in Francia, con selezione di quattro nodi di eccellenza e un piano straordinario per formare e reclutare esperti e ricercatori.
Tre miliardi di euro su sei anni in Germania, con l’espansione della rete di centri esistente (il Dfki, istituto nazionale di Ai) e un piano straordinario di reclutamento. Grandi investimenti sul talento, sul fattore umano, e stimolo alla creazione di ecosistemi integrati a livello regionale, che fanno leva sulle vocazioni di eccellenza dei territori. Analogie forti con quanto avviene anche in Canada, Giappone, Australia e altri paesi che come noi fanno parte della Gpai. Un tassello importante nel piano di rinascita dal disastro della pandemia, per ripartire rilanciando.
Cosa è successo in Italia nel frattempo? Diversi buoni elementi hanno fatto seguito alle iniziative di indirizzo di Mise (Sviluppo economico, che ha elaborato una strategia di innovazione industriale), Mur (UnIversità e ricerca, che ha costruito il nuovo Piano Nazionale delle Ricerche, dove Ai e dati sono pervasivi) e Mid (Innovazione Digitale, che sta delineando l’adozione responsabile dell’Ai nella Pa).
La comunità italiana dei ricercatori, fortemente coesa, ha suggerito attraverso il laboratorio nazionale del Cini un piano nazionale chiaro e ambizioso . Il Mur insieme a università e Cnr ha dato vita a un inedito progetto di dottorato nazionale, in costruzione attraverso una rete di cinque nodi che aggregheranno le migliori competenze sulle tecnologie e sulle applicazioni strategiche dell’Ai e formeranno oltre 200 dottori di ricerca. I migliori hub di ricerca italiana sono entrati nel nucleo delle quattro reti europee di ricerca, fra cui Humane-AI-Net.
Il Mise ha lanciato l’idea di I3A, un Istituto italiano per l’Ai, a Torino, per connettere ricerca e trasferimento tecnologico. Il Mid ha lanciato la versione italiana del fortunato corso online Elements of Ai, una introduzione all’Ai per tutti, già seguito da oltre 600mila persone in tutto il mondo.
Cosa manca, dunque? Manca la linea che unisce i puntini. Ancora non c’è una strategia organica, interministeriale, adeguatamente finanziata, che a partire dagli elementi embrionali indichi come il nostro Paese si vuole muovere per cogliere la sfida dell’AI umana. Una strategia che abbia un respiro ampio, che provi a immaginare il paese che vogliamo diventare uscendo dalla crisi.
Un piano nazionale che faccia leva su due capisaldi. Primo, tenere insieme i tre pilastri: ricerca, formazione e innovazione. Innovazione perché occorre sperimentare l’adozione dell’aI in ogni ambito dell’ndustria e dell’amministrazione. Ricerca perché molti degli strumenti per l’aI sicura, responsabile, trasparente, equa e centrata sulla persona ancora non ci sono, occorre buona scienza per trovarli. Formazione perché l’innovazione e la ricerca viaggiano solo sulle gambe delle persone e quindi occorre uno sforzo senza precedenti per coltivare, trattenere e magari attrarre il talento.
Sarebbe un errore imperdonabile limitarsi agli investimenti sulle infrastrutture digitali: cloud, 5G, banda larga. Necessarie, certo, ma insufficienti a generare innovazione e sviluppo senza le competenze indispensabili per trasformare i processi industriali e amministrativi e innovare la società.
Secondo, creare e mobilitare una rete di centri di eccellenza nella ricerca, innovazione e formazione in AI, dati e robotica. Rete di nodi connessi fra loro e con le reti europee e globali, ottenuta valorizzando e potenziando i migliori ecosistemi che esistono sul territorio italiano, aiutandoli ad aggiungere alla rilevanza scientifica la massa critica e l’impatto sociale ed economico che ancora non hanno dispiegato.
La sfida della digitalizzazione intelligente, umana e sostenibile della società si può affrontare solo con le reti e con le persone. Mobilitando gli ecosistemi e investendo sul talento. Ora, rispetto ad un anno e mezzo fa, sappiamo come fare e abbiamo anche i soldi da spendere. Non ci resta che collegare i puntini.
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