L’Inter di Conte, uno scudetto vinto a suon di praticità
Il mister nerazzurro centra l’obiettivo forse più importante della sua carriera
di Dario Ceccarelli
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Tutti insieme appassionatamente, e con la consueta incoscienza degli assembramenti calcistici, i tifosi interisti, festeggiano finalmente il 19esimo scudetto. A parte i soliti eccessi, che fanno dimenticare ogni forma di prudenza, i supporter nerazzurri ne hanno tutte le ragioni. Perchè questo scudetto, il primo con un presidente cinese, è uno scudetto più che meritato. Uno scudetto conquistato con quattro giornate d'anticipo e ben 13 punti sulla seconda in classifica. Numeri importanti. Si può dire quello che si vuole, perfino discutere sulla “simpatia” di Antonio Conte (resti pure antipatico ma vinca la Champions, dicono i tifosi), ma non si può mettere in discussione un fatto molto evidente: che l'Inter è stata la migliore. La migliore in un campionato strano, condizionato dalla pandemia, e quantomai selettivo e dispendioso per via degli infortuni, dei contagi e di una ancor più strana e pesante assenza: quella del pubblico.
Bravo Conte, bisogna dirlo. Dopo l'uscita dalla Champions in dicembre, tutto il suo progetto poteva rompersi in mille pezzi. Soprattutto in una società come l'Inter che non brilla per freddezza, quasi sempre sull'orlo di qualche crisi di nervi. Invece Conte, ben supportato da Marotta, partendo da questa delusione, ha costruito le basi di uno scudetto che, forse, per quello che rappresenta, vale più dei tre già vinti con la Juventus e di quello conquistato in premier con il Chelsea.
Oggi, mentre si festeggia in piazza Duomo, e perfino Andrea Agnelli invia un tweet di felicitazione al collega presidente Steven Zhang che balla di gioia sul tetto della sede, viene facile pensare che questo campionato, con la Juve in balìa della sua crisi, fosse un campionato fin troppo facile da conquistare. Che tutto fosse a portata di mano, e che sarebbe bastato non perdere il passo del Milan, sorprendente ma fragile alla distanza, per cogliere l'obiettivo.
La presa di coscienza di Conte
Bei discorsi, ma che si possono fare solo adesso, con lo scudetto in tasca. Conte, pur disponendo di una rosa di prim'ordine, dopo l'uscita dall'Europa ha preso atto che il suo calcio, con quel suo esagerato furore agonistico, era tropo dispendioso per funzionare. Dimostrando una elasticità non scontata, Conte ha modificato lo schema giocando di rimessa, quasi in contropiede, parola ormai proibita in Italia e in Europa. Con davanti un gigante come Lukaku, una difesa imperforabile e un centrocampo rigenerato, Il tecnico ha dato solidità e sicurezza all'Inter.
Qualcuno ha definito “cinico” il suo gioco. Qualcun altro poco spettacolare. Tutte questioni estetiche, molto soggettive, difficili da valutare. Chiedetelo a Pirlo, incagliato in ben altri problemi. Alla fine l'unica critica che si può veramente imputare a Conte è stata la sua scarsa resa in Champions. E da qui bisogna partire per capire come l'Inter si attrezzerà per l'Europa. E se lo farà ancora con Conte e Marotta, cosa non del tutto garantita visto i chiari di luna finanziari dell'Inter e del calcio in generale.
Non è facile parlare bene di Conte, perchè perfino i tifosi dell'Inter, ancora adesso, lo amano con riluttanza. Quando si vince si dimentica tutto, però fino a ieri Conte non piaceva. Non piaceva soprattuto il suo “peccato originale”, e cioè l'essere “juventino”. Un marchio doc non facile da portare in giro. Ma lui c'è riuscito benissimo. Prima scontrandosi violentemente con il vertice bianconero, poi togliendo alla Juventus la ciliegina cui teneva di più a parte la Champions: il decimo scudetto.
Lo sgambetto alla Juve
Dopo aver avviato il ciclo della Juve, Conte le ha tolto il gusto di completarlo. Un'impresa straordinaria, da vero rivoluzionario: demolire una dittatura che lui stesso ha creato. Un altro merito di Conte, ma si conosceva già, è quello di aver cancellato quella strana pazzia che l'Inter si portava appresso come un marchio di fabbrica indissolubile. Quella sua raffinata inaffidabilità che tanto piaceva agli esteti e ben poco a chi preferisce la sostanza dei risultati. Evidentemente all'Inter servono i sergenti di ferro. Come era servito lo Special One Mosè Mourinho (ora caduto in disgrazia), adesso è servito Conte con i suoi metodi da rude sergente dei Marines.
Nel calcio a volte si filosofeggia, si elaborano alchimie e schemi complessi, poi arriva un martello come Conte che sgrida e salta come un matto sul difensore che non marca l'uomo, e tutto si aggiusta. Il calcio è un gioco semplice, e Conte ha fatto bene a riportarlo alla sua doverosa semplicità.
Non era facile gestire una squadra sulla quale pesano l'incertezza degli stipendi e il suo futuro economico. Si dice che i calciatori sono adulti, seri professionisti. Fino a un certo punto, però. Soprattutto quando ballano tanti soldi. Conte in questo frangente è stato abile perché ha trasformato una debolezza in rabbia. Ha costruito uno scudo che proteggesse lo spogliatoio dalle voci poco rassicuranti e contraddittorie.
Il nocciolo duro italiano
Un altro punto di forza - in una squadra che si chiama Internazionale - è l'aver creato un'asse molto “italiano” sul quale saldamente appoggiarsi quando bisogna stringere i denti. Darmian, Barella, Bastoni, Sensi. Tutti giocatori valorizzati dal tecnico nerazzurro. I talenti stranieri sono importanti, ovvio, ma un nocciolo duro italiano aggiunge più forza e coesione quando si va con il vento in faccia.
Nel giorno della gran festa interista, a momenti l'Udinese fa la festa alla Juventus, salvata in extremis da una doppietta del redivivo Ronaldo quando ormai si profilava una nuova caduta degli ex dei bianconeri. Ronaldo è tornato a fare il suo mestiere (27 gol in campionato), ma lo spettacolo offerto dalla Juve è stato modesto, quasi imbarazzante considerando che i friulani in casa non sono dei giganti. Anche sul pareggio, realizzato all'83' dal portoghese su rigore, non mancano le polemiche. Il rigore era giusto ma non la punizione dalla quale è nato il penalty. Insomma, un' altra ombra che non fa onore a Madama. Come pure le proteste di Paratici, sceso dalla tribuna alla fine del primo tempo per contestare all'arbitro Chiffi un presunto mancato recupero del tempo di gioco. Scene brutte, di nervosismo palese, di una squadra che cerca in tutti modi di non perdere l'ultimo treno per la Champions. Se ce la farà, non è detto che su quel treno salga anche Pirlo. E forse con lui resterà a terra anche qualche dirigente.
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