L’Inter vince facile e viaggia (in discesa) verso il titolo di campione d’inverno
Il pari del Milan e il tonfo casalingo del Napoli consegnano ai nerazzurri le chiavi del campionato. Solo l’Atalanta tiene il passo. Sci in rosa superlativo
di Dario Ceccarelli
I punti chiave
5' di lettura
Missione compiuta. Nel modo più perentorio l’Inter, asfaltando il Cagliari (4-0), conquista per la prima volta la vetta del campionato. Un obiettivo realizzato in scioltezza con una doppietta di Lautaro (che sbaglia anche un rigore) e due perle di Sanchez e Calhanoglu. Minimo sforzo, massimo risultato, grazie anche alla frenata del Milan con l’Udinese (1-1) e al sorprendente tonfo casalingo del Napoli con l’Empoli (0-1). Solo l’Atalanta, vittoriosa in rimonta a Verona (1-2) e ora terza davanti ai partenopei, guasta la festa ai nerazzurri di Milano che adesso, complice un calendario favorevole, puntano al titolo d'inverno.
Inter verso il titolo d’inverno
Una mèta alla portata, vists la facilità realizzativa della squadra di Inzaghi alla sua quinta vittoria consecutiva. Se l’Inter va a tutto vapore, non altrettanto si può dire del Milan che in un mese ha lasciato otto punti ai cugini, ora davanti di una lunghezza a quota 40. Al prossimo turno i rossoneri si incrociano col Napoli. Una sfida tra due squadre traballanti che dovrebbe favorire ancora l’Inter impegnata, si fa per dire, con la Salernitana. Dietro il divario si allunga. La Lazio del professor Sarri ha deragliato nuovamente a casa del Sassuolo, perdendo per 2-1. Punita nella ripresa da Berardi e Raspadori, quella dei biancocelesti è un’altra sconfitta che non fa neppure notizia. Un po’ come il pareggio della Juventus a Venezia. Madama ormai è così: inconsistente e poco continua. Con il suo unico leader, Dybala, fragile come la sua squadra.
La valanga rosa
Ormai lo ragazze dello sci non le ferma più nessuno. E prolungano anche nell’inverno la bella estate dello sport italiano. La più incontenibile è Federica Brignone che con il successo nel SuperG di Saint Moritz entra di forza nella storia dello sci femminile superando, con 17 vittorie, la mitica Deborah Compagnoni. Federica è la stella più luminosa, ma dietro di lei ormai c’è la fila: Elena Curtoni è arrivata seconda, Sofia Gaggia sesta, Marta Bassino ottava e Francesca Marsiglia segue al nono posto. Ma altre azzurre incalzano. Mai il nostro sci femminile ha raggiunto una tale continuità di risultati. Ne parliamo, ma spesso poi ce lo dimentichiamo. È un grande momento per lo sport italiano, godiamocelo e continuiamo a investire in questa meglio gioventù che troppo volte etichettiamo come sdraiata e senza passioni.
Formula 1, cuore e batticuore
All’ultimo giro dell’ultima corsa. Lo ricorderemo per un bel pezzo questo Gran Premio di Abu Dhabi. Che cosa si può voler di più da una gara di Formula 1 che ti inchioda al televisore fino all’ultimo secondo? Nulla, non si può chiedere nulla. Solo ringraziare sperando che, prima o poi, per qualche speciale allineamento astrale, il miracolo si ripeta. E che si perpetui all’infinito anche questo magnifico dualismo, tra Lewis e Max, tra il britannico di ghiaccio e l’olandese volante, che tanto bene ha fatto a questo sport e a tutti i suoi appassionati.
La classe di Lewis
Certo, Hamilton che si vede sgusciare dal volante l’ottavo titolo mondiale a poche curve dal traguardo ne deve aver lanciate di maledizioni ai direttori di gara. Ma che far play dopo la corsa! Tanto di cappello: senza battere ciglio, nonostante la botta ancora fresca, il britannico è subito andato complimentarsi con Verstappen, magnifico pilota con un grande futuro davanti, ma anche una teppa di prim’ordine che non vorremmo mai avere dietro in autostrada che ci lampeggia per superarci. Che poi Max sia stato bravo ad approfittare dell’ultima chance offerta dall’incidente di quel guastafeste di Lafite, schiantatosi a cinque giri dalla fine con la sua Wlliams, è fuor di dubbio.
Quando il «fattore c» fa la differenza
Verstappen è stato scaltro, coraggioso, sfacciato come deve essere un pilota rampante cui il destino offre su un piatto d’argento il primo titolo mondiale. È anche da queste cose, dalla capacità di meritarsi la fortuna (e di cambiare le gomme in extremis), che si giudica un pilota. Però… Però, per dirla alla alla francese, che botta di culo! Senza questo incidente, e senza la giostra della safety car, Hamilton avrebbe vinto in carrozza. A cinque giri dalla fine, con più di dieci secondi di vantaggio, stava volando verso l’ottavo titolo, quello con cui si sarebbe lasciato le spalle, a 36 anni, Michael Schumacher. E invece, grazie a quello svampito di Lafita, il povero Lewis si è trovato a rigiocarsi la corsa all’ultimo giro, con le gomme sbagliate e quel satanasso dell’olandese che gli soffia sul casco per detronizzarlo.
Max, orgoglio e follia
Capirai: anche se ti chiami Hamilton, ti girano a mille. Poi quel matto di Max è stato bravissimo a sorpassare il rivale e a difendersi con le unghie e coi denti nelle ultime curve, però ormai la frittata era fatta. Lo stesso Verstappen era incredulo: «È stata una follia, una cosa pazzesca, un’emozione incredibile. Dopo tanti episodi negativi, la fortuna mi ha aiutato al momento giusto». Tutto molto bello, avvincente, salato al punto giusto, come deve essere lo sport quando soffia il vento dell’impresa. Tutto da ricordare: il grido di esultanza di Max, le lacrime di papà Jos, che segue quello scavezzacollo del figlio fin dalle prime gare sui kart, le bandiere olandesi gonfie di orgoglio e, infine, la lucida compostezza di Hamilton capace, al di là dei successivi reclami della Mercedes, di abbracciare l’avversario.
La noia non abita più qui
Un vero Signore. Lo stile fa l’uomo. Da additare ai nostri politici che, quando perdono alle elezioni, mai e poi mai ammettono la sconfitta dicendo che l’avversario è stato migliore. Difficile capire chi sia stato più campione, in questo Gran Premio di Abu Dhabi. Di certo, anche per i 13 anni di differenza tra i due rivali, c’è stato un significativo passaggio di consegne, ma non è detto che sia quello definitivo. L’impressione, anzi, è che Hamilton abbia voglia al più presto di riprendere le chiavi del suo regno, anche se a 36 anni certi colpi fanno più male. Resta comunque, nonostante la scia delle polemiche e dei ricorsi della Mercedes, uno straordinario mondiale, reso indimenticabile da questo gran finale all’ultimo respiro. Chi l’avrebbe detto? Uno sport che sembrava condannato alla noiosa dittatura di Hamilton, propedeutico alla pennica post prandiale si è improvvisamente trasformato in una giostra impazzita dove è successo di tutto.
Il brutto anatroccolo rosso
Straordinaria anche la rivalità condita di tutti gli ingredienti necessari per alimentare la passione dei tifosi: il giovane e il vecchio, lo spericolato e il calcolatore, il bianco e il nero, l’olandese e il britannico, figlio di migranti delle isole caraibiche. Cosa si può voler di più? Una Ferrari sul podio, please. Alla fine è arrivato anche questa, grazie al terzo posto di Carlos Sainz, passato però quasi inosservato davanti a così tanti colpi di scena. Curioso che, dei due ferraristi, si sia imposto quello meno quotato, lo spagnolo, rispetto al piccolo principe monegasco, Charles, Leclerc, ultimamente poco pervenuto. A volte il brutto anatroccolo, anche in Formula 1, fa meglio del cigno più nobile.
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