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L’inutilità e l’orrore della guerra nelle pagine di Stephen Crane

Paul Auster dedica una corposa biografia al capofila della moderna letteratura americana

di Gianluca Barbera

3' di lettura

In ogni guerra i sogni di gloria sono destinati a infrangersi nello spreco di vite umane; c'è chi muore e chi sopravvive, chi ci perde e chi ci guadagna, retorica a parte. Di solito sono i vecchi a dichiarare guerra e i giovani a morire: sono parole di Herbert Hoover, presidente americano in anni difficili, dal 1929 al 1933. Ma c'è anche chi la guerra la anela, la insegue (salvo poi ricredersi).

Eroismo, coraggio, paura, vigliaccheria, menzogna, inutilità, non senso: c'è tutto questo in Stephen Crane, scrittore nordamericano di prima grandezza, morto il 5 giugno del 1900, all'alba del nuovo secolo, ad appena vent'otto anni. Pur non avendola combattuta (nacque sei anni dopo la sua fine) ha saputo comprendere come nessun altro la guerra civile che dilaniò il suo Paese tra il 1861 e il 1865, raccontandola come se su quei campi di battaglia ci fosse stato realmente.

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Nel suo capolavoro del 1895, Il segno rosso del coraggio, uno dei libri chiave non solo sulla guerra di Secessione ma sulla guerra tout court, Crane toglie il velo a ogni retorica cogliendo il senso e le contraddizioni di ogni soluzione militare. Fu lui stesso a definire il suo romanzo “un quadro psicologico della paura”.

Stephen Crane

Una vita spericolata

Una vita spericolata, quella di Crane, consumata tra eccessi, fughe precipitose, montagne di debiti, bordelli, lucidità estrema e passione per la scrittura, per quale fu disposto a rinunciare a tutto.Dopo aver conosciuto una grande notorietà in patria e non solo finì nel dimenticatoio per decenni, prima di essere riscoperto a partire dagli anni Cinquanta. Conrad, che gli fu amico, lo considerava un “veggente con il dono di saper estrarre il significato dalla superficie delle cose”. Hemingway definì Il segno rosso del coraggio “uno dei più bei libri della nostra letteratura”.

Paul Auster (by Spencer Ostrander)

Paul Auster

Autore di saggi, racconti, romanzi, articoli e reportage giornalistici, fu corrispondente in vari teatri di guerra (guerra greco-turca, 1897, guerra ispano-americana, 1898). A rendergli omaggio è oggi un altro grande scrittore, Paul Auster (su tutti La trilogia di New York), che al termine di due anni di intense ricerche gli ha dedicato una corposa biografia, Ragazzo in fiamme (Einaudi, traduzione di Cristiana Mennella, pp. 940, 24 euro), anche allo scopo dichiarato di toglierlo dall'angolino delle accademie, degli specialisti, nel quale è rimasto relegato per troppi anni.

Magro, pallido, il volto scavato, “non era bello, ma aveva occhi straordinari, grigi e a mandorla”, pareva cagionevole, “fumava di continuo e di solito aveva una sigaretta che gli pendeva dal labbro inferiore”, forse causa della sua tosse secca. “Beveva pochissimo”, “era povero in canna e denutrito”, “indifferente al modo di vestire” e “prendeva appunti sui polsini”. Così lo descrisse Lily Brandon Munroe, che da sposata ebbe una relazione con lui. Insomma, era della schiatta dei Mark Twain e dei Jack London. Con studi irregolari alle spalle e senza mai laurearsi, scrisse le sue opere migliori nell'arco di cinque anni e mezzo, dal 1891 al 1896. Quando lasciò a New York, alla fine del 1896, dopo essere entrato in urto con le autorità (che lo tenevano sotto sorveglianza e gli avevano perquisito la casa), aveva venticinque anni ed era uno degli scrittori più famosi d'America, pur continuando a vivere di collaborazioni saltuarie e di espedienti.Diretto a Cuba, nel gennaio del 1897 sopravvisse a un naufragio raccontando la sua avventura nello scritto breve La scialuppa.Inseguito dai creditori e rimasto senza lavoro, anche a causa della sue maniere poco accomodanti, approdò in Inghilterra con la sua compagna (ex tenutaria di un bordello), trovando sistemazione in una specie di maniero semidiroccato nel Sussex, privo di elettricità e acqua corrente. Affetto dalla tubercolosi fin dalla tenera età, morirà in un sanatorio nella Foresta Nera, in Germania. “È venuto il momento” scrive Paul Auster “di disseppellire il ragazzo in fiamme dalla sua tomba e cominciare a ricordarlo di nuovo. La prosa continua a vibrare, lo sguardo a penetrare, i testi a bruciare. Sono cose che per noi contano ancora? Se sì, e si può solo sperare che sia vero, bisogna prestare attenzione”.

Ragazzo in fiamme, Einaudi, traduzione di Cristiana Mennella, pp. 940, 24 euro


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