L’Iran spegne internet e gli iraniani espatriati lanciano l’allarme sui social
Un’utente di Instagram scrive al Sole24Ore per segnalare le difficoltà di mettersi in contatto con la sua famiglia in Iran. E noi decidiamo di darle voce
di Francesca Milano
3' di lettura
L’appello è arrivato sotto forma di messaggio privato sul profilo Instagram del Sole 24 Ore, schiacciato tra una notifica di una condivisione di una storia e la segnalazione dell’ennesimo profilo che cerca follower. «Hanno staccato internet di un intero Paese e noi studenti iraniani ed espatriati (10 milioni di persone) stiamo morendo dall’ansia, non potendo contattare le nostre famiglie». M.M. ha poco più di 30 anni e dalla foto del profilo si scorgono i suoi profondi occhi scuri. Sorride, in quella foto. Non oggi.
Oggi è solo preoccupata e anche un po’ arrabbiata: «I giornali italiani sono gli unici che non hanno detto niente! Perché il silenzio? In Iran ci sono proteste in 100 città e il governo ha aperto il fuoco sui manifestanti».
M.M. ci ha contattati sui social e io ho deciso di fare lo stesso, cercando altre testimonianze, usando Facebook e Instagram per creare un dialogo con gli utenti iraniani in Italia.
Per capire quello che sta succedendo leggo l’articolo di Roberto Bongiorni che spiega sul Sole 24 Ore i motivi della protesta contro il regime, poi cerco conferma nell’unica iraniana che conosco di persona. Anche le sue iniziali sono M.M., per un gioco del caso, e anche lei mi racconta che «a causa delle proteste in Iran hanno disabilitato l’internet. Si può chiamare con il telefono normale o con alcune app come Skype, Voip e Viber». Poi aggiunge: «Queste app sono ovviamente a pagamento», come per voler sottolineare che a una situazione già tesa si aggiunge un’ulteriore complessità.
I gruppi Facebook di iraniani espatriati sono chiusi, ma uno accetta la mia richiesta di iscrizione. E così scopro che due giorni fa a Teheran nevicava e che agli espatriati che vogliono provare a contattare i loro familiari qualche utente consiglia di usare Pinngle, una app di messaggistica che funziona ovunque e in qualunque momento anche con una connessione internet debole o addirittura assente.
Vorrei sotterrarmi dalla vergogna quando un’utente di Facebook che si trova in Francia risponde al messaggio in cui chiedevo informazioni sulla situazione in Iran dicendomi: «Hanno staccato internet, come potrebbero raccontarti qualcosa?». È lì che mi accorgo che non è come quando a casa mia il wifi fa i capricci e non funziona. Il black out della rete iraniana significa mettere il bavaglio a un intero Paese e tagliarlo fuori dalle comunicazioni con il resto del mondo.
«Il governo non vuole che il mondo capisce cosa sta succedendo in Iran - mi scrive N.M. nel suo italiano imperfetto ma chiaro. - Stanno uccidendo la gente che è scesa in piazza per il prezzo del petrolio che hanno aumentato. Sparano ai giovani, fin ora dicono 40 persone uccise però la tv del governo dice solo 3...mai dice la verità».
N.M. ha 33 anni vive in Italia da 8 con suo marito. «Siamo qui da soli - mi racconta su Instagram, quando si sparge la notizia che ho deciso di raccogliere le testimonianze degli iraniani espatriati -. La mia famiglia è a Shahrood e la famiglia di mio marito a Isfahan. In questi anni ci siamo sempre tenuti in contatto su internet, su Facebook, su Telegram o Whatsapp. Però da 3 giorni il governo ha bloccato internet in tutto il Paese e quindi da 3 giorni noi che siamo fuori dall’Iran non riusciamo a sentire le nostre famiglie».
Un’altra ragazza, P.S., mi conferma che il weekend è stato durissimo ma che oggi va meglio e che i suoi parenti hanno la possibilità di connettersi a internet all’interno del Paese ma la connessione non funziona verso l’estero.
Anche N.R. vive in Italia, dove studia, ma è in ansia per la sua famiglia. «Il prezzo della benzina è salito del 300%» mi scrive per spiegarmi i motivi delle proteste. Anche loro espatriati hanno deciso di scendere in piazza, proprio come i connazionali rimasti in Iran: oggi, 19 novembre, è prevista a Roma una manifestazione in piazza della Madonna, e domani, 20 novembre, si replica davanti alla sede dell’ambasciata. Quando le chiedo di mandarmi qualche foto della manifestazione, ancora una volta resto spiazzata dalla risposta: «Abbiamo paura che se facciamo foto dopo succede qualcosa ai nostri parenti in Iran oppure che non possiamo più ritornare in Iran». Le chiedo scusa, la rassicuro sul fatto che non ho intenzione di mettere nessuno in pericolo e rinuncio alle foto. Non ci saranno scatti a documentare la protesta, solo queste parole.
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