Usa-Iran, Trump: «Soleimani progettava un attentato ai nostri diplomatici»
Il presidente statunitense: «Il generale ha ucciso migliaia di americani. Non lo abbiamo eliminato per un cambio di regime o per iniziare la guerra». Khamenei: «Ora prepara le bare»
dal nostro corrispondente Riccardo Barlaam
4' di lettura
NEW YORK - Sul profilo Twitter di Donald J. Trump è stata bloccata l’immagine della bandiera americana. Senza commenti. Simbolo muscolare dal sapore patriottico del presidente, dopo il raid via drone del Pentagono da lui autorizzato che ha ucciso il comandante iraniano Qassim Soleimani, colpito nel convoglio dei due veicoli appena uscito dall’aeroporto di Baghdad. Il generale Soleimani è stato l’architetto di tutte le operazioni militari e di intelligence all’esterno dell’Iran negli ultimi due decenni. La sua morte rischia di generare un pericoloso conflitto regionale in Medio Oriente.
Trump: «Non vogliamo un cambio di regime in Iran»
Per quanto chirurgica e tecnologica, l’operazione americana equivale a una dichiarazione di guerra. Il generale Soleimani «ha ucciso o ferito gravemente migliaia di americani durante un lungo arco di tempo e stava complottando per ucciderne molti altri... ma è stato preso!», ha twittato Trump, secondo cui Soleimani «è stato direttamente e indirettamente responsabile per la morte di milioni di persone». Parlando da Mar-a-Lago, in Florida, nella serata di venerdì 3 gennaio il presidente americano ha sottolineato che Soleimani stava preparando nuovi attacchi contro il corpo diplomatico statunitense di stanza in Iraq: «Il suo regno di terrore è finito», ha detto. «Non abbiamo ucciso Soilemani
per un cambio di regime o per iniziare la guerra», ha proseguito The Donald. «Ma siamo pronti a qualunque risposta sia necessaria», ha detto Trump, sottolineando come «il futuro dell’Iran appartiene al popolo che vuole la pace, non ai terroristi».
Khamenei: «Prepara le bare»
Il supremo leader religioso dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale che saranno seguiti, ha detto, da una «violenta vendetta» contro gli americani e i loro alleati nell’area. Il ministro degli esteri Javad Zarif ha definito il blitz americano «un atto di terrorismo internazionale». Così la guida suprema Khamenei promette una «dura reazione” e avverte direttamente Trump senza usare giri di parole: «Prepara le bare».
Una mossa in controtendenza
Trump, nel terzo giorno dell’anno elettorale, con il voto per l’impeachment ancora pendente in Senato, l’ultima cosa che vuole è restare invischiato in una guerra nella polveriera del Medio Oriente. La sua mossa denota una mancanza totale di strategia, o quantomeno un’incredibile sottovalutazione di quanto l’episodio potrà provocare. Il tycoon ha sempre detto, dai tempi della campagna elettorale, che l’occupazione americana dell’Iraq del 2003 è stata il più grande errore della politica estera statunitense. Da mesi il segretario di Stato e il Pentagono continuano ad applicare la sua teoria del disimpegno, facendo rientrare personale non militare e militare da Baghdad. In Iraq in questi anni gli Stati Uniti hanno investito centinaia di miliardi di dollari. Un fiume di denaro che non è servito a non veder più bruciare le bandiere americane.
Dentro la polveriera Iraq
L’Iraq è abitato per il 70% da sciiti e, nonostante i dollari americani, la stabilità del paese è tutt’altro che raggiunta. Gli Stati Uniti con l’Iran, l’altra forza in campo nella spartizione di influenza nell’area, in questi anni hanno continuato a manovrare il fragile governo del Paese. Tanto gli americani tentano di abbandonare il campo, quanto gli iraniani cercano di aumentare la loro sfera di influenza. Negli ultimi due mesi le milizie filo iraniane nel paese hanno attaccato con i missili forniti da Teheran per ben 11 volte obiettivi americani. In uno di questi, il 27 dicembre, è stato ucciso un contractor americano. Due giorni dopo, il 29 dicembre, gli Usa lanciano un raid aereo contro le basi dei miliziani pro Iran al confine con la Siria e uccidono almeno 25 combattenti.
L’assalto di San Silvestro
Il 31 dicembre un migliaio di mliziani sciiti pro Iran durante il corteo funebre per i 25 uccisi, tentano di assaltare l’ambasciata americana a Baghdad. Riescono a penetrare nella zona verde, issando bandiere sulla recinzione e dando fuoco a una delle torrette. L’ambasciatore americano e il personale diplomatico sono costretti a trascorrere la notte dell’ultimo dell’anno in un bunker dell’ambasciata con le razioni militari mentre arrivano i rinforzi, due elicotteri Apache e una divisione di Marines a mettere in sicurezza il compound. Mentre i manifestanti bruciano bandiere americane e intonano inni sinistri come «Morte all’America», «No a Trump», «L’America è il Satana».
Colpito un simbolo
L’ambasciata americana a Baghdad è stata costruita dopo l’invasione del 2003. Costata oltre 750 milioni di dollari, è una delle rappresentanze diplomatiche più imponenti e fortificate degli Stati Uniti. Simbolo di potenza della prima potenza mondiale. Il blitz dei miliziani è stato un affronto all’America e al suo presidente. Trump aveva subito promesso una reazione potente. È stato di parola. E poche ore dopo ha dato il via libera al blitz militare, preparato da tempo dal Pentagono, per uccidere il secondo uomo più potente dell’Iran. Ora si teme che la miccia innescata possa esplodere e generare un conflitto regionale, pericolosissimo per la stabilità del mondo intero.
Il rischio di un’escalation
In queste ore i diplomatici Usa invitano i cittadini americani in Iraq a rientrare al più presto negli Stati Uniti. Anche Israele si prepara a rispondere ai raid aerei iraniani e alcuni tra i più popolari siti turistici del paese sono stati già chiusi. Si temono attacchi terroristici in Occidente, nei Paesi amici, e cyberattacchi da parte degli hacker iraniani contro obiettivi americani dopo la fine dei tre giorni di lutto nazionale. Il segretario di Stato Mike Pompeo in un’intervista a Fox News dice che il raid è stato deciso in risposta alla minaccia di un «imminente attacco» del regime iraniano, senza fornire dettagli ulteriori. Ripete più volte che gli Stati Uniti non vogliono l’escalation degli scontri con l’Iran. Forse è troppo tardi.
PER APPROFONDIRE:
● Come ha fatto l’Iraq a diventare il cortile di casa del rivale Iran
● Evacuata ambasciata a Baghdad
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