ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùUno scrittore e il suo viaggio

L'Islanda da scoprire nei libri, fra geyser, ghiacci e vulcani

In un paesaggio tanto aspro ed estremo, una delle più importanti autrici contemporanee di Reykjavik racconta il sogno di costruire una serra e un orto.

di Au ur Ava Ólafsdóttir

4' di lettura

 

 

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C'è chi dice che sia meglio amare gli oggetti anziché le persone, perché almeno loro non ci lasciano. Credo che soltanto un uomo o una donna davvero soli possano pensare così. E parlo da scrittrice, che trascorre la maggior parte del suo tempo isolata, in compagnia soltanto dei suoi personaggi. Detto questo, gli oggetti possono essere utili e rendere la vita più semplice e piacevole. Nel lunghissimo inverno di Reykjavík, la mia città, rappresentano come una luce nel buio. Per esempio, i libri: ce ne sono alcuni che considero ormai vecchi amici perché stiamo insieme da moltissimi anni. Io viaggio con e dentro i libri. Mi addormento insieme a loro e, attraverso i libri, imparo come ragionano gli altri e anche a conoscere meglio me stessa.

Leggo esclusivamente su carta perché ho bisogno di toccare le pagine, di sentirle. A volte mi basta guardare un volume per ricordare esattamente che cosa provavo mentre lo stavo leggendo. Gli Uccelli, del norvegese Tarjei Vesaas, mi dà questa sensazione. Sono speciali anche i libri che contengono note, dediche o anche solo la firma di chi me li ha regalati. Ne conservo parecchi, anche di scrittori italiani. Amo soprattutto i grandi classici, autori come Cesare Pavese, Natalia Ginzburg, Leonardo Sciascia, Luigi Pirandello, Alberto Moravia. E poi ho vari volumi di Benedetto Croce, che ho letto quando ero una studentessa di storia a Parigi, e di Francesco Alberoni.

Con i libri sento di avere una relazione fisica, viscerale, potrei accompagnarvi davanti alla mia libreria e, per ciascuno dei volumi, raccontare in quale esatto momento della mia vita mi trovavo quando l'ho letto, che cosa mi ha insegnato di nuovo sull'essere umano e sul mondo in cui viviamo, come mi ha cambiata. Nella mia casa i libri sono un po' dappertutto, si muovono con me da una stanza all'altra. Lo stesso fanno le penne, come sa chiunque venga a trovare me e la mia famiglia e si fermi da noi. Questa casa è stata pensata e arredata proprio per ospitare e accogliere gli altri, creando un'atmosfera intima, personale.

Abbiamo realizzato noi stessi molti oggetti e pezzi d'arredo, con qualche digressione, come una Funkis chair degli anni Sessanta che ho ereditato dai miei genitori e una collezione d'immagini coloratissime – quasi kitsch – di santi. Vado molto fiera dei manufatti realizzati a mano dai miei figli, a cominciare da un semplice segnalibro che mi fece mia figlia quando era poco più che una bambina. Già da piccola aveva capito quanto valore io attribuissi ai libri. E poi conservo tutti i disegni, le poesie, i braccialetti che hanno costruito con le foglie e altri elementi naturali raccolti intorno a casa. Il valore di un oggetto è quasi sempre affettivo. Una cosa banale può assumere un significato unico perché ci ricorda una persona cara. Diventa preziosa proprio perché viene donata da qualcuno che è oppure è stato importante nella nostra vita. Conservo le lettere che mi scrivevano i miei figli quando erano piccoli (ora sono cresciuti e non lo fanno più purtroppo).

Ho avuto anche passioni molto concrete. In un'altra fase della mia vita, mi occupavo di storia dell'arte. Ricordo che curai una mostra sull'arte islandese, dov'erano esposti i lavori non di professionisti, ma di persone che non avevano seguito alcun percorso di formazione artistica. Quei quadri mi parlavano e così ho finito per acquistare gran parte delle opere esposte. Mi sono ritrovata con una raccolta di dipinti e sculture naïf che ho dovuto far entrare a forza nel mio piccolo appartamento di allora. Negli anni successivi ho continuato ad acquistare occasionalmente opere di artisti, non solo islandesi. L'ultima che ho aggiunto alla collezione è un dipinto di una Vergine Maria con Bambino di un pittore originario di Haiti. Me l'ha regalato il mio editore francese, che è anche un caro amico, mentre ero in Francia per presentare il mio ultimo libro. Mi ci sono subito affezionata.

Un altro oggetto a cui tengo tantissimo è il pianoforte Grotrian Steinweg che mi ha lasciato mio padre. E poi gli stivali di gomma di mia madre, che uso ogni volta che vado nel nostro cottage, costruito in mezzo a un campo di lava. In Islanda il paesaggio è plasmato dal fuoco, le rocce vulcaniche sono ovunque, anche quando le copre completamente la vegetazione, e la terra su cui si coltiva è materiale eruttivo fertile. Intorno al cottage ci sono fratture da cui esce vapore caldo, in certi punti il magma è davvero vicino alla superficie. Così abbiamo acqua calda in abbondanza e la usiamo anche per riscaldare tutta la casa. Amo i vulcani, le montagne, le distese modellate dalle continue eruzioni.

Eppure, quasi in risposta a questo paesaggio tanto aspro ed estremo, sarei disposta a spendere una follia per una serra completamente accessoriata, dove far crescere zucchine, pomodori di tutti i tipi, peperoncino, perfino le melanzane. Una mia personalissima, piccola fonte di biodiversità, dove trovare tutto ciò che cresce fuori dalla mia isola fredda.

 

Au ur Ava Ólafsdóttir è una delle più importanti scrittrici islandesi contemporanee. Ha insegnato Storia dell'arte ed è stata direttrice del Museo dell'Università d'Islanda. Fra i suoi successi, tutti pubblicati da Einaudi, Rosa candida (2012 e 2014), Il rosso vivo del rabarbaro (2016), Hotel Silence (2018 e 2019), con cui è stata finalista al Premio Strega Europeo 2018, e Miss Islanda (2019 e 2020), che le è valso il prestigioso Prix Médicis étranger 2019. Il suo ultimo romanzo è La vita degli animali (2021)

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