L’Italia, il governo e la lezione di Aristotele
Non è necessario scomodare Aristotele per capire che non si può, nello stesso tempo, sostenere un argomento e il suo contrario. In particolare, non può farlo chi è impegnato ad andare al governo.
di Sergio Fabbrini
4' di lettura
Bisogna decidersi cosa pensare. O si pensa che l’Unione europea (Ue) sia fatta di «burocrati chiusi in un palazzo di vetro a Bruxelles» oppure si pensa che essa sia necessaria per risolvere i problemi che non possiamo risolvere da soli. Non è necessario scomodare Aristotele per capire che non si può, nello stesso tempo, sostenere un argomento e il suo contrario. In particolare, non può farlo chi è impegnato ad andare al governo. Peraltro, la Commissione europea, che amministra la vita di 447 milioni di abitanti, dispone di 32.000 “burocrati”, mentre il Comune di Roma, che amministra la vita di meno di 3 milioni abitanti, ne dispone di 23.000 (che diventano tre volte tanto con il personale delle aziende municipalizzate). Dove sono i burocrati? Se non si conosce l’Ue, è impossibile governare l’Italia. Chi ha responsabilità politiche non dovrebbe parlare a vanvera. Faccio due esempi.
Primo esempio. Esponenti della destra sovranista hanno detto: «Quando andremo al governo rivedremo il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) perché non riflette né la situazione di oggi né il nostro programma. Se non ce lo fanno fare, andremo avanti lo stesso». Naturalmente, tutto si può cambiare, a parte i dieci comandamenti scolpiti nella pietra. Ma per cambiare il Pnrr bisogna sapere come farlo. Sulla base del Regolamento che ha istituito Next Generation EU o NG-EU (e il suo braccio finanziario, la Recovery and Resilience Facility), il Pnrr consiste in un accordo stipulato tra uno Stato membro e la Commissione europea, scadenzato semestralmente, con specifici obiettivi e specifiche riforme da raggiungere e da realizzare semestre per semestre. I fondi semestrali, che uno stato membro riceve, sono condizionati dalla soddisfazione dell’insieme degli obiettivi e delle riforme fissate per quel semestre. Il ruolo della Commissione europea è stato cruciale per concordare i singoli Pnrr nazionali, lo è ancora di più per valutare la loro coerente implementazione. Per fare ciò, essa ha istituito una task force (Recover) per coordinare e supervisionare i vari Pnrr nazionali, costituita di due direttorati e di diverse unità amministrative con competenze su specifici settori di policy, che risponde direttamente alla presidente von der Leyen. La quale, a sua volta, interagisce con i governi nazionali. L’articolo 21 del Regolamento prevede la possibilità che uno stato membro possa chiedere una revisione del proprio Pnrr, ma tale richiesta deve essere motivata dal sopraggiungimento di «circostanze oggettive». Una decisione di revisione ingiustificata o unilaterale bloccherebbe l’assegnazione dei fondi. Il cambiamento di governo non è una circostanza oggettiva, mentre lo è (eccome) la crisi energetica e le sue implicazioni inflazionistiche. Quest’ultima, tuttavia, concerne l’insieme dell’Ue, non solamente l’Italia. Se così è, allora il futuro governo italiano dovrebbe chiedere di aggiornare il nostro Pnrr nel contesto di un più generale aggiornamento di NG-EU, portando buoni argomenti e ricercando buone alleanze. Solamente così si potrà andare avanti.
Secondo esempio. Esponenti della destra sovranista hanno iniziato a sparare palle di cannone contro «l’inerzia dell’Ue di fronte alla crescita del prezzo del gas». Non solamente non c’è un’analisi auto-critica sul perché siamo giunti a dipendere energeticamente da un regime autoritario, non solamente si è fatto cadere il governo Draghi impegnato proprio a ridurre quella dipendenza (attraverso accordi con una pluralità di Paesi esportatori di energia), ma si dice anche che, «se i burocrati di Bruxelles non escono dal loro palazzo di vetro, andiamo avanti da soli». Verso dove? Se è vero che i prezzi del gas naturale si sono decuplicati rispetto alla media dell’ultimo decennio (e cresceranno ancora nei prossimi mesi), è ancora più vero che non è pensabile trovare una soluzione esclusivamente nazionale al problema del prossimo “autunno freddo”. Certamente, i singoli governi nazionali debbono prendere iniziative per aiutare le imprese e le famiglie a sostenere il costo dell’energia oppure per razionalizzarne il consumo. Ma è evidente che un problema di questa portata non può essere risolto nazionalmente. Peraltro, un price cap solamente nazionale farebbe il gioco di Putin, il cui obiettivo è mettere un governo nazionale contro l’altro.
Durante il picco della crisi pandemica (primavera 2020), quando ogni governo nazionale cercò di acquistare i vaccini autonomamente, il risultato fu il rafforzamento contrattuale delle società farmaceutiche e l’indebolimento di ognuno di quei governi. Come potrebbe l’Italia, con un debito pubblico superiore al 150% del Pil, farsi carico di una politica energetica con enormi implicazioni finanziarie? È necessaria, invece, una politica europea per l’energia, se si vuole far funzionare il price cap o disallineare il costo del gas e quello delle energie alternative. La Commissione europea ci sta lavorando. Ma le sue proposte dovranno poi passare attraverso il vaglio dei governi nazionali, a loro volta divisi dalla crisi. Per promuovere il proprio interesse nazionale, all’interno di un processo negoziale così complesso, è necessario avere buoni argomenti e buone alleanze. Solamente così si potrà andare avanti.
In conclusione, i sovranisti hanno già fatto parecchi danni licenziando il governo Draghi, che di buoni argomenti e buone alleanze ne aveva in abbondanza. È necessario che essi (e i cittadini che li sostengono) si mettano d’accordo con sé stessi. Non ci si può opporre all’Ue e poi denunciarla perché non fa abbastanza. Il principio di non-contraddizione non vale solamente per Aristotele.
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