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L’Italia multiculturale è già una realtà

Shata Diallo, Pegah Moshir Pour e Mariam Battistelli tre giovani donne italiane di seconda generazione e di terza cultura si sono raccontate al Festival dell?Economia di Trento

di Silvia Pagliuca

3' di lettura

«Non si può più dire niente», dicono. «Una vera integrazione non è possibile», giurano. Sono le voci della narrazione diffusa, quella per cui la diversità mette a rischio l'identità. Toglie anziché aggiungere. Ma c'è chi guarda l'evoluzione sociale da una prospettiva altra, indossando le lenti della multiculturalità. Sono le voci di chi rappresenta un Paese che cambia e che in buona parte è già cambiato.

Shata Diallo, consulente aziendale per la diversity & inclusion, nata da mamma italiana-cattolica e padre ivoriano–musulmano; Mariam Battistelli, soprano nata in Etiopia e adottata da una famiglia italiana all'età di soli otto mesi, e Pegah Moshir Pour, attivista per i diritti umani e digitali, trasferitasi dall'Iran in Italia quando era ancora una bambina. Intervistate da Monica D'Ascenzo in occasione del Festival dell'Economia di Trento, hanno raccontato perché oggi c'è più bisogno che mai di andare oltre le resistenze culturali che impediscono di riconoscere l'arricchimento di ogni identità.

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Cosa significa Italia

«Quando sono arrivata in Italia ero abituata a scrivere da destra a sinistra, parlavo in una lingua diversa, aprivo i libri al contrario. Ho dovuto imparare ogni cosa, cambiando radicalmente tutto ciò che avevo appreso fino a quel momento. Ma non ho cancellato, ho aggiunto. E arricchire la propria cultura è il primo passo per poter comprendere chi sono gli altri» ha condiviso Pegah Moshir Pour.

«Io sono figlia di culture e di religioni molto diverse e ho compreso dalle mie esperienze e dai miei studi che il tema fondante è quello della paura. Abbiamo paura del diverso perché temiamo che possa sottrarci qualcosa. Ma includere significa essere disposti a perdere ciò su cui abbiamo sempre pensato di avere controllo» ha aggiunto Shata Diallo, ricordando che la paura è anche la ragione per cui è molto difficile avere dati chiari sulla multiculturalità: «non c'è sufficiente sicurezza psicologica nelle persone affinché condividano queste informazioni».

I dati sulla multiculturalità

Eppure, quei (pochi) dati che ci sono, parlano chiaro: un ragazzo ogni dieci, nelle nostre scuole, non ha cittadinanza italiana. Ed è un trend crescente che fa della multiculturalità non una previsione, ma una realtà già consolidata, che va oltre le leggi. «Quando calco i palchi di tutto il mondo, sono fierissima di dire che sono italiana. Ma sono ugualmente orgogliosa di raccontare che sono nata in Etiopia e che i miei genitori mi hanno adottata in un orfanotrofio di Addis Abeba. Un'identità non esclude l'altra» ha aggiunto Mariam Battistelli.

Sono queste le ragazze – e i ragazzi - della terza cultura, che uniscono anziché dividere. Che trovano nella complessità un punto di forza, e non di debolezza, per superare gli stereotipi. Nel caso della soprano, l'inclusione è arrivata attraverso il linguaggio della musica: «è unificante per molte culture nonché il modo migliore per avvicinarsi all'altro esprimendo, al contempo, chi si è davvero» ha chiarito Battistelli.

Razza, etnia, nazionalità

«Io arrivo dall'impero persiano e sono dell'impero romano. Ho sempre amato raccontarmi richiamando la storia, anche se ho scoperto che in Italia si è sempre lo straniero di qualcun altro: chi vive al nord, ad esempio, è straniero al sud, e viceversa» ha aggiunto l'attivista Moshir Pour, ricordando quanto anche il linguaggio sia importante per stimolare il progresso sociale.

Non è un caso, infatti, che proprio oggi si sia tornati a dibattere di termini come, razza, etnia e nazionalità. «Sono temi complessi, ogni parola ha un significato specifico, così come unica è la storia che ognuna di noi porta con sé. Il rischio che corriamo, invece, è quello di semplificare, uniformare, ragionare per categorie. Ma abbiamo bisogno di dibattiti aperti e sempre nuovi» ha rinnovato Diallo.

Non dimenticare l’Iran

E l'impegno per il riconoscimento del valore della diversità e dell'inclusione non può non passare dalla lotta per i diritti che in molti paesi coincide con quella per l'affermazione della libertà. È la storia dell'Iran dei giorni nostri. Un Paese in cui il dramma sociale è ancora vivo e brucia quotidianamente.

«Abolfazl AmirAtayi è solo l'ultimo ragazzo di 16 anni ucciso dalle forze dell'ordine del regime della repubblica islamica iraniana. Era stato colpito alla testa da un proiettile di gas lacrimogeno che l'aveva paralizzato. Ha combattuto 8 mesi per restare in vita ma alla fine non ce l'ha fatta. In Iran si muore ancora perché si è di un'etnia diversa. Si muore per chiedere la libertà. Ma noi tutti abbiamo una responsabilità importante – è stato il richiamo finale di Pegah Moshir Pour -: dobbiamo ricordare il suo nome e quello di chi ha avuto il suo stesso destino. Per non tacere la sua storia e non normalizzare ciò che normale non è».

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