«l’Italia nell’uso dell’Ai nella sanità paga i gap di digitalizzazione, il Pnrr è una grande opportunità»
L'intervista ad Andrea Celli, amministratore delegato di Philips Italia
di Simona Rossitto
6' di lettura
(Il Sole 24 Ore Radiocor ) - Per l’uso dell’Ai nella sanità il nostro Paese paga «i gap di digitalizzazione del sistema». Parola di Andrea Celli, amministratore delegato di Philips Italia, che, in un’intervista a DigitEconomy.24 (report del Sole 24 Ore Radiocor e di Digit’Ed, nuovo gruppo attivo nella formazione e nel digital learning), fa il punto sulle ultime novità, le prospettive e rischi dell’utilizzo sempre più importante di sistemi di intelligenza artificiale nella sanità. Un mercato che vale, secondo gli ultimi dati al 2022, 6 miliardi di dollari a livello globale e cresce del 70 per cento. Ora, prosegue Celli, l’Italia ha un’opportunità, il Pnrr, al fine di superare un gap che non è di tecnologia ma «di infrastrutture in grado di connettere i diversi sistemi».
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Dal punto di vista di Philips che prospettive ci sono per il mercato globale e italiano?
L’Ai in sanità è un mercato in crescita esponenziale, anche se non ancora di enorme entità; nel 2022 valeva 6 miliardi di dollari globalmente ma con una crescita del 70 per cento. E’ un trend che vediamo da qualche anno in accelerazione e che ci viene confermato dal Future Health Index, lo studio che Philips conduce in 14 Paesi inclusa l’Italia, analizzando le prospettive e le priorità dei leader della sanità. Il 52% dei rappresentanti italiani di istituzioni o strutture ospedaliere pubbliche o private, ritiene che per l’uso di Ai e per l’automazione in generale l’Italia ancora paghi i gap di digitalizzazione del sistema. La stessa percentuale di leader ritiene che l’Ai aiuti a snellire i processi e migliorare l’efficienza operativa del sistema; tre di loro su quattro stanno già investendo in Ai, con una media superiore a quella globale intorno al 60 per cento. In Italia, infatti, il 75% dei decision maker delle strutture ospedaliere sta indirizzando parte del loro budget sull’Ai.
A livello pratico quali sono le applicazioni più interessanti?
Partiamo dal presupposto che le applicazioni dell’Ai in ambito sanitario sono estesissime. Noi come azienda puntiamo sulla diagnostica per immagini; abbiamo tac, risonanze, ecografi, sistemi di monitoraggio di terapia intensiva: un portafoglio di prodotti nativo digitale che produce immagini e informazioni sulle quali costruire le applicazioni di Ai. Per fare tutto ciò è necessario che il sistema su cui poggiano sia davvero digitalizzato . Le informazioni digitali che i nostri prodotti danno come output (immagini, dati…) vanno, infatti, poi immagazzinate e trasferite in sicurezza all’interno di una rete digitale che connetta i reparti all’interno di un ospedale o strutture ospedaliere diverse. Tutto questo consente di avere una grande quantità di dati sui quali usare gli algoritmi di Ai per arrivare ad avere, per esempio, soluzioni di population health management, capendo cioè quali sono le caratteristiche di una popolazione in una determinata area geografica e agendo quindi in ottica predittiva nell’identificare cure e trattamenti. L’intelligenza artificiale è, quindi, uno strumento utile per integrare la diagnostica, elaborare i big data e supportare gli esseri umani nel prendere le decisioni corrette. Noi abbiamo numerose soluzioni di Ai, alcune già attive nel panorama del sistema sanitario nazionale sia nel pubblico sia nel privato. Ad esempio, per le risonanze magnetiche abbiamo soluzioni che permettono di diminuire il tempo di esame migliorando la risoluzione dell’immagine. Si tratta di una soluzione importante che impatta sulla produttività delle nostre apparecchiature, sulle liste di attesa, e grazie alla risoluzione definita incide sul cosiddetto first time right, sul fatto cioè che la diagnosi è da subito corretta e non sarà necessario rifare un ulteriore esame.
L’Italia sembra avanti nelle sperimentazioni dell’Ai, possiamo dire lo stesso dell’uso a livello concreto?
Il nostro Paese ha sempre sofferto di gap di digitalizzazione nelle strutture ospedaliere. Abbiamo soluzioni di Ai molto forti ma non abbiamo un sistema digitalizzato, un ospedale cioè non parla con un altro ed è complicato interconnettere specializzazioni ed eccellenze. Adesso l’Italia ha una grande opportunità per allinearsi ai Paesi più all’avanguardia che restano i Paesi del Nord Europa, con il Pnrr che prevede 20 miliardi di euro investiti in sanità, di cui circa il 70% in sistemi di digitalizzazione a livello nazionale. Il nostro, in sintesi, è un gap non di tecnologia, ma di infrastrutture in grado di connettere i diversi sistemi.
Che cos a abbiamo appreso dal Covid a livello di uso delle nuove tecnologie?
Il Covid ci ha insegnato tanto e ci ha dato l’opportunità del Pnrr. La crisi ci ha insegnato che dobbiamo avere una medicina diffusa sul territorio, altrimenti in una situazione pandemica come quella verificatasi in Italia, le persone prese dal panico si accalcano al pronto soccorso che diventa il focolaio principale per trasmettere il virus. Noi abbiamo un’organizzazione del nostro sistema sanitario nazionale fatto da ospedali diffusi sul territorio. Il Pnrr affronta questo tema e dice che non dobbiamo avere solo ospedali tutti uguali, strutturati nello stesso modo, con eccellenze diverse, ma dovremmo avere ospedali dove ci si concentra sul trattamento di alcune malattie; ospedali di comunità dove si fa degenza; case di comunità dove si concentrano gli specialisti, i medici di famiglia, pediatri, ginecologi e la casa del cittadino che può e deve diventare parte di questo sistema. Un sistema che sarà fatto da quattro entità e che, per poter funzionare, deve essere interconnesso digitalmente. Con un sistema di questo tipo, se andassimo incontro a nuova pandemia, non ci sarebbe la concentrazione di persone al pronto soccorso che abbiamo avuto con il Covid. Allo stesso tempo il Pnrr prevede fondi per rinnovare il nostro parco tecnologico all’interno delle strutture ospedaliere. Come Italia siamo sempre stati sempre all’avanguardia per numero di apparecchiature, numero di risonanze magnetiche e tac per abitante. Ma queste apparecchiature erano tutte molto vecchie, di almeno 10 anni. Grazie al Pnrr, e attraverso le gare Consip, si sta rinnovando questo parco ormai obsoleto. Tra tre anni avremo un sistema rinnovato per quanto riguarda le apparecchiature ma rischiamo che non si parlino tra loro e che rimanga il concetto di ospedale come unico punto di accesso del cittadino quando si ha un’emergenza. Il disegno del Pnrr è molto ambizioso, molto intelligente, è già partito, ma ancora non abbiamo nuovo il sistema in attività e, per poter accedere a tutti i fondi, dobbiamo mettere a terra le innovazioni entro il 2026. In sostanza, il nostro sistema ha imparato, si è attivato, ma ancora non ha ancora sfruttato a pieno tutte le opportunità che abbiamo. La cosa buona è che siamo ancora in tempo.
Fin qui le opportunità, come Philips affronta i rischi, a livello etico e giuridico dell’uso dell’Ai?
Non penso che l’Ai sostituirà il medico, ma affiancherà nel prendere decisioni sempre più complesse. Noi sviluppiamo le nostre soluzioni avendo ben chiaro il rischio potenziale della sostituzione dell’uomo con una macchina. L’innovazione per noi deve quindi rispettare tre caratteristiche: deve essere umana, digitale e sostenibile. Umana, poiché l’Ai deve conservare sempre la persona al centro, sia il paziente sia il clinico, che rimane al centro del processo decisionale. Faccio un esempio di uso dell’Ai che aiuta il clinico: la gran parte delle immagini che derivano da risonanze o tac sono negative, però vengono comunque visualizzate dal medico che referta. L’obiettivo è applicare un protocollo di Ai che permetta di escludere dal referto del medico le immagini che una macchina può riconoscere come negative. Questo permette al medico di concentrarsi su ciò che è importante; noi crediamo infatti che l’Ai debba aiutare il medico ad abbattere la possibilità di errore e il sistema sanitario a migliorare la produttività e quindi a diminuire le lista di attesa, due nodi critici in Italia. Dal punto di vista normativo, penso come ad di Philips Italia, che la sanità sia un’industria particolarmente sensibile. Ci sono temi di privacy dei dati sanitari che sono per definizione sempre sensibili. Inoltre, va tutelata la gestione dell’output dell’attività clinica, stabilendo chi è il responsabile se questa viene lasciata alla macchina.
Ci può fare un esempio di abbattimento dell’errore?
Ogni soluzione che riesce a non mandare in stress chi lavora nella sanità abbatte sicuramente la probabilità. Ad esempio, se abbiamo un sistema che permette di fare una risonanza magnetica col 35% del tempo in meno, significa che se noi riuscissimo a fare normalmente la risonanza a 30 persone, con l’uso dell’Ai si potrebbe scaricare la lista d’attesa di 40-42. In sostanza, il clinico dopo qualche mese ha meno stress da carico di lavoro e meno probabilità di commettere un errore.
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