L’Italia non è un Paese per giovani? In 7 anni sparito un quinto delle imprese under 35
di Michela Finizio
3' di lettura
Scommesse, servizi postali, ristoranti e bar, telecomunicazioni, pulizie e giardinaggio, parrucchieri o centri benessere. Sono le attività più gettonate dalle imprese junior iscritte nelle Camere di commercio italiane, quelle con un titolare under 35. Quasi tutte sono micro-imprese (meno di 9 addetti), spesso sono own-account workers, quindi senza impiegati.
GUARDA IL VIDEO / Investire sui giovani, i consigli di Cottarelli e Sergio Rizzo
Ma nonostante le tante misure in campo, decine anche a livello regionale, sono sempre meno i giovani imprenditori in attività: le aziende under 35 registrate sono, infatti, crollate del 19% negli ultimi sette anni. Se ne contavano 697.426 nel 2011, un periodo in cui la crisi inizava a lasciare il segno e a togliere ossigeno a tutti i comparti produttivi. A settembre 2018 - come emerge dall’inchiesta del Sole 24 Ore del Lunedì su dati Infocamere - il numero delle “baby” imprese si è ridotto a poco più di 563mila. Che cosa è successo?
La riduzione dello stock per oltre 134mila unità non è in linea con il calo demografico della popolazione tra i 18 e i 35 anni che, pur non arrestandosi, nello stesso arco di tempo si è fermato, secondo l’Istat, al -5 per cento. Inoltre, il crollo non può essere neanche imputato del tutto alla più generale flessione economica: tra il 2011 e oggi le attività complessivamente registrate sono rimaste per lo più stabili (-0,1 per cento).
Quella delle “baby imprese”, quindi, sembra essere una vera e propria frenata. Lo stupore è ancor maggiore se si pensa al pacchetto di misure a favore dell’imprenditoria giovanile adottate negli ultimi anni. Ogni recente governo, chi più chi meno, ha approvato iniziative specifiche volte a finanziare o a semplificare l’autoimprenditorialità e, più in generale, la galassia delle start up innovative, dove nel 45,2% casi è presente un under 35 nella compagine sociale.
GUARDA IL VIDEO / Immaginare il futuro: 200 giovani si sfidano su idee innovative
Tra questi interventi basta pensare, per ultimo, all’incentivo «Resto al Sud » introdotto dal governo Renzi con il Dl 91/2017 e potenziato dalla manovra presentata in questi giorni. Seppur destinato alle sole otto regioni meridionali, il provvedimento ha riscosso grande interesse: dal 14 gennaio ad oggi sono circa 4.800 le domande presentate, di cui 1.750 già approvate per 52,5 milioni di euro impegnati. A funzionare è lo sportello telematico gestito da Invitalia e il particolare mix agevolativo (con il 35% a fondo perduto) su un programma di spesa fino a 200mila euro. Tanto che ora il governo Lega-M5S ha deciso di potenziare lo strumento nel Ddl di Bilancio 2019 alzando l’età dei soggetti che possono presentare un progetto di impresa da 35 a 46 anni e aprendo ai liberi professionisti (come spiegato a pag. 10).
Non tutte le iniziative nate per sostenere le nuove imprese, però, hanno lo stesso impatto. Ad esempio «Nuove imprese a tasso zero», rifinanziata con 150 milioni dal gennaio 2016, da allora ha concesso solo 88 milioni di agevolazioni a 424 giovani e donne che hanno aperto un’attività. Ancor più difficile l’iter di «Selfiemployment», rivolto a un target - quello dei Neet under 29 - per definizione inattivo in partenza: su 103,74 milioni di budget complessivo, dal 12 settembre 2016 ne sono stati concessi appena 29.
Ristretta, infine, alla platea delle start up innovative (416 quelle finora finanziate), quindi non specificatamente solo ai giovani, è «Smart&Start Italia» a cui nel corso degli anni sono state devolute risorse europee ingenti, visto che sono finanziabili progetti per un valore fino a 1,5 milioni di euro.
A questo pacchetto di misure se ne affiancano tante altre attivate sul territorio da Regioni, enti e organismi locali. Ma nonostante gli sforzi, alcune difficoltà - prima tra tutte quella di reperire capitali - frenano le aperture dei giovani: dati alla mano, non solo lo stock, ma anche le nuove iscrizioni di imprese under 35 sono in netto calo.
Principalmente a questa platea guarda un’altra decisione del governo che, con la legge di Bilancio, intende istituire il Fondo per il venture capital: gli investimenti in capitali di rischio in Italia, sebbene in crescita, non superano i 250/300 milioni l’anno, in forte ritardo - nella raccolta fondi e nelle transazioni fatte - rispetto ad altri paesi come Spagna, Francia e Germania. Con una dotazione per ora di 30 milioni l’anno, il nuovo fondo potrà investire direttamente in classi di quote o azioni. Inoltre, nell’ottica di favorire la nascita di nuove imprese, il Ddl di Bilancio elimina alcuni requisiti per accedere al regime fiscale di favore (articolo 31 del Dl 98/2011) che prevede l’esenzione dei proventi per chi investe.
loading...