TRA LAVAGNA E SAN FRANCISCO

L’italiano che ha venduto l’algoritmo a Snapchat: «Adesso torno in Italia»

di Giampaolo Colletti

3' di lettura

Il futuro di Snapchat passa anche per un paese di tredicimila anime che si affaccia sulla riviera di Levante, al centro del golfo del Tigullio sul mar Ligure. Siamo a Lavagna, quinta città per densità abitativa del genovese, in quella lingua di terra della cinta metropolitana di Genova. Qui ha scelto di tornare a vivere Rafael Alberto Patron Sanguineti, 29enne nato in Perù e arrivato in Italia all'età di tre anni.

«I miei nonni si erano trasferiti dall'altra parte del mondo per lavoro e poi siamo tornati in Italia», racconta Rafael, in tasca una laurea in economia aziendale e gestione di impresa e in testa da sempre il pallino dell'informatica. Questo nerd in salsa italo-peruviana si è specializzato alla Università Iulm di Milano per poi andare a lavorare in Google. Ha vissuto a San Francisco e poi è rientrato nella sua Liguria.

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Pochi mesi fa il contatto con l'ufficio acquisizioni di Snapchat. «Per praticità dico che ho venduto un algoritmo. In realtà si tratta di un insieme di funzionalità e nello specifico di alcuni bug che abbiamo individuato», precisa Rafael.

La firma italiana in casa Snap
Da tempo la “camera-company” californiana – così si è sempre definito Snapchat, allontanandosi dall'etichetta di puro social network – ha scelto di differenziarsi da Facebook. E finora con successo. La società di ricerca eMarketer ha presentato uno studio che stima questo spostamento di baricentro verso Snap da parte dei giovanissimi: nel 2018 meno della metà dei ragazzi tra i 12 e i 17 anni sceglierà Facebook almeno una volta al mese. E Zuckerberg quest'anno potrebbe arrivare a perdere 2 milioni di utenti con un'età inferiore ai 25 anni, a fronte di una crescita di Snapchat di 1,9 milioni.

Ma evidentemente i giovanissimi non bastano al colosso hi-tech. E le acquisizioni italiane lo dimostrano: difatti le implementazioni di Snap hanno un sapore di miglioramento dell'esperienza di navigazione dell'utente. E provano a strizzare l'occhio ad un pubblico più maturo.

Così se verticalità e volatilità dei contenuti sono da sempre state la cifra stilistica del fantasma a tinte gialle, ora si cerca di puntare anche ad altro. Ma le reazioni in queste ore non sono state sempre positive: basti pensare che è stata lanciata una petizione su Change.org per tornare alla vecchia Snap. E la raccolta firme ad oggi ha superato un milione e 220mila sottoscrittori. «Però Snapchat ha un trend di crescita costante. E credo che andando su altri pubblici crescerà ugualmente, forse ancora di più», precisa Rafael.

Innanzitutto come è andata la trattativa?
«Il contatto è arrivato direttamente dall'headquarter californiano. È stata una cosa impensabile per me essere chiamato da quella realtà che ho seguito sin dai suoi primi passi sul mercato».

Perchè Snap cresce così tanto sui teen rispetto al colosso di Mark Zuckerberg?
«I teenager stanno abbandonando Facebook perché sulla piattaforma sono arrivati mamma, papà e persino i nonni».

Ora però l’app sta strizzando l'occhio ad un pubblico più maturo con le nuove implementazioni che ordinano la navigazione. Quali sono le modifiche che sta avviando la “camera company”?
«Diciamo che si sta rendendo la navigazione più semplice. Stiamo registrando un cambiamento verso una piattaforma più videocentrica, ma sempre con un'attenzione alle persone vicine alla propria sfera. Sembra paradossale, ma su Snap il rapporto umano è centrale e diventerà sempre più importante».

Cosa sta crescendo di più?
«Sta andando molto bene Musical.ly, con la possibilità di fare i selfie mentre si canta. D'altronde il valore di Snap è che c'è sempre qualcosa di nuovo e di diverso».

Ma le aziende oggi hanno mercato su Snapchat?
«Assolutamente sì. E negli Stati Uniti lo hanno già compreso. In Italia è una cosa nuova e coinvolge per ora soprattutto quelle realtà capaci di parlare ad un pubblico giovane. Penso ai brand di moda, tecnologia, viaggi».

Cosa piace di più dell'app?
«Ha avuto importanti evoluzioni. E persino una fase di crisi. Ma si sta differenziando moltissimo: penso alla parte di animazioni in 3D o alla possibilità di caricare effetti».

E questo giovanissimo miliardario ha fatto bene a non cedere alle lusinghe di acquisizione di Menlo Park?
«Credo che la scelta sia stata corretta. Anche se personalmente mi sarei arreso molto prima».

Perché hai scelto di tornare a Chiavari?
«Perché voglio darmi da fare per il mio territorio. A Chiavari è nato un coworking per professionisti del digitale. Si chiama Wylab ed è stato aperto su una superficie di 1500 metri quadrati nei locali ristrutturati di una ex scuola nel cuore della città. Ho scelto di ripartire a trent'anni da lì. E poi c'è il mare che aiuta anche a lavorare meglio».

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