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L’Ocse all’Italia: riforma della Pa necessaria per sfruttare il Recovery Fund

Rapporto Going for Growth: le fragilità dei sistemi sanitari e di assistenza sociale hanno aumentato i costi globali della pandemia

di Gianluca Di Donfrancesco e Gianni Trovati

Aggiornato il 14 aprile 2021, alle ore 10:49

Per il Recovery regia a Palazzo Chigi e task force locali

5' di lettura

La «priorità» per l’Italia è «rafforzare l’efficacia della pubblica amministrazione». Con particolare attenzione alla «governance degli investimenti pubblici», un requisito «necessario» per utilizzare al meglio i Fondi Ue. È la ricetta dell’Ocse, nel suo rapporto Going for Growth 2021, pubblicato il 14 aprile. Il documento mette in guardia dall’aumento delle diseguaglianze globali, sottolinea i costi della corsa ai “paradisi fiscali” e la necessità di alzare il prezzo delle emissioni inquinanti.

La sfida per l’Italia

Quando guarda all’Italia, il rapporto Ocse è chiarissimo nel definire le priorità. Anzi, la priorità unica, che riassume in sé tutte le altre. E che rappresenta il grande assente nella bozza del Recovery Plan preparata dal Governo Conte.

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Si tratta della riforma a tutto campo della Pubblica amministrazione, che secondo il Rapporto è chiamata a ripensare «la governance degli investimenti pubblici», per aumentare «il coordinamento e il livello di implementazione attraverso i diversi livelli di governo». Senza questo passaggio preliminare, sarà impossibile utilizzare i fondi della Recovery and Resilience Facility per affrontare i problemi strutturali che erano stati alimentati nei lunghi anni della stagnazione, e che sono esplosi con il crollo economico del 2020: «le disparità territoriali, anagrafiche e di genere», allargate da una produttività che fino al 2000 era superiore alla media dei migliori Paesi Ocse, e oggi è sotto a quei livelli del 17%, trascinando a quota -26% il reddito nazionale pro capite.

La fotografia scattata dall’Ocse è quella di un Paese impoverito, nel quale il Pil declinante distribuisce la ricchezza in modo sempre più ineguale e in cui il livello di investimenti pubblici in rapporto al Pil è fermo a circa la metà della media Ocse. È ovvio che un panorama così desolato non è stato determinato dall’anno della crisi pandemica, ma è stato costruito dai decenni di blocco sostanziale di crescita e riforme.

Per questo tutto parte da una riforma della Pa che in primo luogo deve «semplificare i processi amministrativi attraverso i diversi livelli di governo», creando «una regolazione più omogenea fra le Regioni», per «abbattere i costi di investimento per le aziende italiane e straniere». Perché il caos delle vaccinazioni ha reso evidente a tutti la pessima prova della cacofonia regionale.

Il governo Draghi ha lavorato in queste settimane per costruire una prima riforma della Pa, che dallo sblocca-concorsi, inserito nel decreto Covid per accelerare il reclutamento, arriva a un “decreto Recovery” in programma per la fine del mese, con un pacchetto di semplificazioni su valutazione di impatto ambientale, termini dei procedimenti, assunzioni di tecnici a tempo determinato e processi burocratici. La sfida è enorme. I tempi brevissimi.

La Germania

Alla Germania, l’Ocse torna a raccomandare investimenti nelle infrastrutture e nel capitale umano. Il rapporto ricorda i ritardi del Paese nelle connessioni a banda larga, elemento chiave nella digitalizzazione del sistema economico e sociale. Colli di bottiglia infrastrutturali rallentano anche l’abbandono del carbone nel mix energetico. Mentre i bassi investimenti in formazione e capitale basato sulle conoscenze frenano l’innovazione delle aziende, sempre meno dinamiche.

Gli Stati Uniti

La pandemia rischia di ampliare le diseguaglianze tra gruppi sociali ed etnici, alcuni dei quali hanno sofferto in modo sproporzionato le conseguenze della crisi economica. In questo senso, alzare il salario minimo nazionale, afferma l’Ocse, potrebbe incentivare la partecipazione al mercato del lavoro e sanare almeno in parte le differenze di reddito.

La Cina

Barriere all’ingresso, disparità di trattamento tra operatori e restrizioni alle imprese estere: sono tutti freni alle enormi potenzialità del mercato cinese, secondo l’Ocse. Che raccomanda riforme a lungo attese, a cominciare dallo smantellamento dei monopoli amministrativi e dall’abolizione delle tutele per le aziende di Stato.

La pandemia, inoltre, ha esacerbato le diseguaglianze tra centri industriali e zone rurali e ha messo in luce la carenza di sistemi di protezione sociale, soprattutto, per i milioni di lavoratori che migrano dalle periferie alle metropoli e per i quali la malattia può aprire la strada alla povertà.

Diseguaglianze globali

«La pandemia è un doloroso promemoria del fatto che il nostro modello di crescita era spesso insostenibile e ha lasciato molte persone indietro», ha affermato il segretario generale dell’Ocse Angel Gurría.

Il rapporto Ocse sottolinea come la crisi economica e sociale innescata dal Covid-19 sia stata esacerbata da difficoltà che si trascinano da tempo, a cominciare dalla bassa crescita della produttività in molti Paesi. La pandemia ha anche messo in risalto le fragilità strutturali nei sistemi sanitari, impreparati af affrontare l’emergenza dopo anni di risparmi, e i buchi nelle reti di assistenza sociale, che hanno esposto molti al rischio povertà. Queste fragilità hanno aumentato i costi della crisi sia nel breve che nel lungo termine, con il rischio di «cicatrici persistenti su crescita, prospettive di lavoro e sostenibilità».

In un circolo vizioso, per effetto della pandemia, le diseguaglianze si sono ampliate, sia tra le diverse economie, che all’interno dei singoli Paesi, come ha già fatto notare l’Fmi nel suo recente World Economic Outlook. Il massiccio ricorso alla digitalizzazione, come risposta alle restrizioni per arginare i contagi, ha reso più evidenti le carenze di formazione, infrastrutture e accesso ai servizi internet, in parte della popolazione, che rischia di restare sempre più indietro.

Lavoro più fluido, ma con cautela

L’Ocse torna a raccomandare mercati del lavoro «più fluidi», «caratterizzati da maggiori cambi di impiego volontari», in modo da ridurre il rischio di disoccupazione di lungo termine e aiutare soprattutto i giovani a trovare posti di qualità, all’altezza della loro formazione. Maggiore fluidità, secondo l’Ocse, può aumentare il potere contrattuale delle persone e ridurre le diseguaglianze salariali.

E tuttavia, sottolinea il rapporto, ridurre le tutele dei lavoratori può avere effetti recessivi in periodi di crisi economica. L’organizzazione rinnova poi l’invito ad abbassare il cuneo fiscale sui redditi da lavoro.

Ripresa verde

L’Ocse sottolinea la necessità di orientare gli investimenti per la ripresa verso modelli produttivi più sostenibili. Il calo iniziale delle emissioni di anidride carbonica, causato dal blocco delle attività economiche e sociali e dalla recessione, «ha avuto vita breve». A dicembre 2020, le emissioni erano già del 2% più alte rispetto a dicembre 2019.

In conferenza stampa, il segretario generale dell’Ocse Angel Gurria, ha affermato che c’è bisogno di «una grossa, grassa tassa sulle emissioni di carbonio» per frenarle, spiegando che le quotazioni attuali sono troppo basse. Secondo il rapporto in 44 Paesi che fanno parte dell’Ocse e del G20 e che sono responsabili dell’80% delle emissioni globali, l’81% di queste emissioni sono sotto i 60 euro per tonnellata di Co2.

Il report si schiera poi favore di una tassa sull’import di emissioni gas serra, come il Border Carbon Adjustment Mechanism allo studio della Commissione Ue, per evitare che l’aumento dei costi dell’inquinamento per le aziende nazionali sia vanificato dall’import di merci realizzate con standard ecologici più bassi, regalando al tempo stesso un vantaggio competitivo. Tra le soluzioni percorribili, spiega l’Ocse, il Border Carbon Adjustment è «meno distorsivo», anche se rischia di generare tensioni con i partner commerciali e va studiato in modo da rispettare le regole della Wto.

Tassazione delle multinazionali

L’Ocse ribadisce l’invito a raggiungere un accordo sulla tassazione delle multinazionali, per superare le lacune nelle regole esistenti, senza percorrere la strada delle web tax nazionali, che possono generare tensioni. Si stima - scrive il rapporto - che le pratiche di erosione degli imponibili e di «spostamento dei profitti» nelle giurisdizioni più favorevoli «costino tra 100 e 240 miliardi di dollari di minori entrate all’anno, pari al 4-10% del gettito mondiale delle imposte sugli utili d’impresa».

Il negoziato tra i Paesi Ocse è stato di recente rilanciato dal segretario al Tesoro Usa, Janet Yellen, con la proposta di una minimum tax globale sugli utili delle multinazionali.

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