Scenari

L’olio italiano deve competere sulla qualità. Ma la frammentazione è eccessiva

In vista dell’evento milanese Olio Officina Festival il punto con l’esperto (e organizzatore dell’appuntamento) Luigi Caricato

di Natascia Ronchetti

(Grazia Neri)

3' di lettura

Dopo cinque anni l'Italia ha riconquistato il secondo posto al mondo per produzione di olio d'oliva, con 315 mila tonnellate (annata 2021-2022). Un record che non cancella le criticità del settore: dall'eccessiva frammentazione del sistema produttivo, caratterizzato prevalentemente da micro imprese, a una logistica debole, priva di grandi e moderni centri di stoccaggio adeguati a valorizzare il prodotto. La Spagna, primo produttore a livello mondiale (quest'anno con 1,3 milioni di tonnellate) resta lontanissima. Eppure non è (solo) su questi numeri che si gioca la partita della competizione internazionale.

«Non può essere questo il nostro parametro – dice David Granieri, vice presidente di Coldiretti e presidente di Unaprol, associazione degli olivicoltori – perché a causa delle nostre caratteristiche orografiche non abbiamo le superfici disponibili per rincorrere il primato spagnolo. Una scelta di coltivazione estensiva sarebbe possibile solo sul 16% del territorio. La strada che dobbiamo percorrere è quella della qualità. Una battaglia che può combattere anche la Spagna ma solo al prezzo di una impennata del 20% almeno dei costi di produzione».

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Storia, difficoltà ma anche prospettive di crescita sono i temi al centro di Olio Officina Festival, la manifestazione dedicata all'olio d'oliva che si terrà dal 17 al 19 marzo al Palazzo delle Stelline di Milano. Organizzata dall'oleologo Luigi Caricato, uno dei massimi esperti del settore, tra workshop professionali ed eventi rivolti al pubblico generalista, è l'occasione per fare il punto su glorie del passato (l'Italia ha avuto il primato incontrastato in Europa fino alla fine degli anni Settanta) e sui nuovi scenari che si aprono.

«Abbiamo sempre avuto alti e bassi, con stagioni anche molto negative, ma ci sono le condizioni per un forte recupero nel medio e nel lungo periodo», spiega Caricato. Il consumo di olio d'oliva fino agli anni Ottanta era limitato all'area del Sud Europa e del Nordafrica, «oggi invece parliamo di un alimento interetnico – prosegue Caricato – che ha travalicato ogni confine. È entrato in Cina, in Giappone, in india. E se il consumatore italiano punta molto sul prezzo, all'estero l’olio è invece percepito come un prodotto pregiato per il quale si può spendere di più».

Un prodotto che però l'Italia è costretta in larga parte a importare, per un valore di circa 1,5 miliardi. La produzione nazionale non copre il fabbisogno interno, che è di circa un milione di tonnellate, delle quali 600mila per il consumo (che è in progressivo aumento) e 400 mila circa per le esportazioni, guidate da una industria nella quale brillano marchi storici e che sfiora un fatturato di 3,3 miliardi. Ma intorno ai colossi gravita una olivicoltura molto parcellizzata, con circa un milione di imprese che dispongono mediamente di un solo ettaro coltivato: nemmeno il 5% di queste aziende è strutturato, la maggioranza rappresenta una olivicoltura destinata prevalentemente all'autoconsumo. Intanto anche i frantoi sono diminuiti. Fino a dieci anni fa erano 6mila, oggi sono 4.500. La superficie olivicola non arriva a 1,2 milioni di ettari e la produzione è concentrata tra Puglia, Calabria, Lazio, Sicilia, Toscana, Campania.

«L'olivicoltura sotto il profilo della coesione sociale e del lavoro può rappresentare un asset strategico per lo sviluppo del Centro Sud – osserva Granieri – ma è chiaro che possiamo migliorarlo solo scommettendo su modelli efficaci di concentrazione del prodotto». Con un patrimonio di ben 538 tipi di olii d'oliva l'Italia può far leva anche sul fatto che è l'unico paese al mondo a vantare un prodotto Dop o Igp in ogni regione. Ma secondo gli addetti ai lavori il settore per troppo tempo è stato accantonato dalla politica.
«Ora è necessario decidere se questo è un comparto strategico», aggiunge Granieri. Scelta fondamentale anche per dotare i produttori di un maggiore potere negoziale, oggi di fatto affidato solo all'iniziativa privata. Qualche segnale positivo c'è, come il recente bando da 30 milioni di euro del ministero dell'Agricoltura per la realizzazione di oliveti, con premialità per chi gestisce le risorse idriche in modo sostenibile. «Per noi – conclude Granieri – il rilancio passa dalla ricerca della qualità, dall'ammodernamento degli impianti, da una logistica forte».

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