Come topo nel formaggio

L’opportunismo sovranista di Orban corrode la Ue

di Sergio Fabbrini

(AFP)

4' di lettura

Domenica scorsa, con i risultati delle elezioni in Ungheria, un brivido è salito lungo la schiena dell’Unione europea (Ue), un brivido che potrebbe diventare una febbre letale con i risultati delle prossime elezioni francesi (il cui primo turno inizia oggi). In Ungheria, il partito antieuropeista e filorusso (Fidesz) guidato da Viktor Orban, alleato con un piccolo partito di estrema destra (KDNP), ha ottenuto più del 53 per cento dei voti nelle elezioni parlamentari nazionali, mentre i partiti dell’opposizione, uniti in un unico cartello elettorale, hanno ottenuto meno del 35 per cento dei voti.

Grazie al sistema elettorale, Fidesz e KDNP possono disporre di più dei due terzi (135) dei seggi totali (191) del Parlamento ungherese (Országház), una maggioranza sufficiente per cambiare la costituzione.

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Nello stesso giorno, in Serbia (Paese che non fa ancora parte dell’Ue ma ne diventerà membro nel 2025, se si concluderanno positivamente i negoziati nel 2024), il candidato antieuropeista e filorusso Aleksandar Vučić è stato confermato per altri cinque anni alla presidenza (con quasi il 60 per cento voti) e il suo partito (SNS) ha ottenuto più del 43 per cento dei voti nelle elezioni parlamentari.

Oggi si avrà il primo turno delle elezioni francesi, con la destra antieuropeista e filorussa di Marine Le Pen in formidabile crescita. Il 24 aprile si terranno le elezioni parlamentari in Slovenia con il probabile successo del partito antieuropeista (SDS) dell’attuale premier Ivan Janša. L’antieuropeismo (per di più filorusso) è in buona salute. Vale la pena di capire di cosa si tratta.

In primo luogo, esso è rappresentato da forze politiche che non riconoscono i principi dello stato di diritto così come celebrati nei Trattati europei (Art. 2 del Trattato sull’Ue, TEU), preferendo quelli della “democrazia illiberale”. Una democrazia illiberale è un regime politico in cui si tengono le elezioni ma non si accettano i vincoli liberali sulle maggioranze da esse prodotte. Non si riconosce l’indipendenza del potere giudiziario dal potere politico, la libertà di stampa, la protezione delle minoranze o il pluralismo culturale. La Commissione europea ha avviato da tempo procedure d’infrazione nei confronti del governo ungherese e la Corte europea di giustizia ne ha sanzionato le scelte. Eppure, le cose non sono cambiate. Perché? Perché la struttura istituzionale dell’Ue ha caratteristiche tali da consentire ai politici nazionali antieuropeisti di condizionare le istituzioni europee. Così, nel Consiglio europeo dei capi di governo si sarebbe potuto sospendere il diritto di voto del governo ungherese (Art. 7, TEU), ma ciò avrebbe richiesto l’unanimità dei suoi membri, condizione irraggiungibile per via dei veti opponibili dall’uno o dall’altro dei premier vicini alle posizioni ungheresi. Orban, non solo non è stato privato del diritto di voto, ma è riuscito a bloccare la nomina (nel 2019) di Frans Timmermans a presidente della Commissione europea, perché critico delle scelte illiberali del suo governo. Così, nel Parlamento europeo si sarebbe dovuto da tempo marginalizzare Fidesz, tuttavia i seggi di quest’ultimo sono stati a lungo considerati indispensabili per garantire la maggioranza relativa al Partito popolare europeo. L’adozione (nel 2014) del metodo dello spitzenkandidat per scegliere il presidente della Commissione europea (la scelta spetta al partito con più seggi parlamentari) rafforzò addirittura il ruolo degli antieuropeisti ungheresi. Anche la Commissione europea ha dovuto riconoscere la pressione del governo Orban, accettando di assegnare (nel 2019) il portafoglio all’allargamento a Olivér Várhelyi, un commissario ungherese che condivide, con Orban, l’obiettivo di allargare l’Ue alla Serbia per rafforzare il fronte filorusso. Perfino nella Corte europea di giustizia, costituita di giudici nominati dai rispettivi Paesi, il governo Orban è riuscito a far nominare (nel 2021) un giudice (Zoltán Csehi) organicamente collegato alla sua visione sovranista.

L’unico modo per contrastare il governo Orban è stato quello di ricorrere alla condizionalità finanziaria (prevista dal programma di Next Generation EU, NGEU), in base alla quale non si possono dare finanziamenti a governi che non garantiscono il loro appropriato uso. L’Ungheria non ha ricevuto i fondi di NGEU, ma per ragioni diverse da quelle relative allo stato di diritto.

Se è chiaro ciò che Orban fa a Budapest, non è però chiaro ciò che vuole fare a Bruxelles. Come gli altri sovranisti, il suo approccio è opportunistico. Rifiuta le istituzioni sovranazionali come la Commissione europea e la Corte, anche se poi cerca di piegarle a suo favore inserendo esponenti fedeli al loro interno. Vuole rimpatriare competenze trasferite a Bruxelles, anche se poi difende le politiche europee dei fondi strutturali che trasferiscono immani risorse al suo Paese. Si oppose (2015) alla redistribuzione dei rifugiati siriani secondo quote nazionali, anche se recentemente ha proposto un sistema europeo per la redistribuzione dei rifugiati ucraini. L’opportunismo, tuttavia, è un ostacolo alla costruzione di alleanze tra sovranisti. Orban non vuole una difesa europea in funzione anti-Russia, mentre essa è una priorità per il governo sovranista polacco. Ogni nazionalismo è diverso dall’altro.

Insomma, Viktor Orban ha dimostrato che si può prosperare sulla critica all’Ue, senza mai minacciare di uscirne. Come un topo nel formaggio, ha potuto agire nelle istituzioni di quest’ultima, svuotandole dall’interno. Anche alla luce di ciò che potrebbe avvenire in Francia, non è ora che gli europeisti tolgano la testa dalla sabbia?

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