Il dibattito e le idee

«L’Ora», un giornale che impaginò la cultura del Sud

di Antonio Calabrò

3' di lettura

C’è un rapporto complesso e controverso tra una parte del pensiero meridionale e la modernità, la scienza, la tecnologia, l’economia, l’impresa di mercato. E oggi, in stagioni di straordinarie turbolenze che investono gli assetti geopolitici, l’ambiente, la qualità della vita, vale la pena riflettere sulla storia e le responsabilità del lavoro culturale proprio in una delle aree più fragili del Paese e dell’Europa: il Mezzogiorno.

Natalino Irti, con raffinata sapienza da giurista, ha raccontato (sul Sole 24 Ore del 27 febbraio) il contributo degli intellettuali del Sud (Silvio Spaventa, Benedetto Croce) «al servizio dell’unità politica e statale del nostro Paese», grazie a «un profondo sentimento dello Stato» e a un solido «culto della libertà». E, facendo appena un passo indietro nel tempo, si può ricordare anche il valore dei pensieri degli illuministi napoletani come l’abate Ferdinando Galiani e Antonio Genovesi, il padre della “economia civile”, tornata fortunatamente di grande attualità.

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Il corso delle cose, però, è «sinuoso», per usare l’elegante aggettivo di Maurice Merleau-Ponty. E fa bene Giuseppe Lupo a parlare (sul Sole 24 Ore del 2 marzo) di «intellettuali del Sud, conflitti con la Storia e borghesia angioina», segnalando come abbiano prevalso, tra gli scrittori meridionali, sentimenti di delusione per l’unità d’Italia, nostalgia d’arcadia e rifiuto della modernità, tranne pochissimi casi (Vittorini, Sinisgalli, Silone, Sciascia, Compagna, Pomilio, Prisco, Nigro).

Oggi, quella nostalgia degrada verso il neo-borbonismo e il rivendicazionismo riparazionista: lo Stato, che ha “tradito” il Sud, deve ripagare... Dall’orgoglio del protagonismo unitario all’antistoria.

Ci sono altre storie, però, da ricordare in questa serie di riflessioni critiche. E una, esemplare, è quella de «L’Ora», quotidiano siciliano, di cui si ridiscute da un paio di anni, in occasione d’una serie di iniziative organizzate dai suoi ex redattori (come chi scrive) per il centenario della nascita del suo storico direttore, Vittorio Nisticò.

Fondato nel 1900 dai Florio, dinastia di mercanti, banchieri e industriali (avviati poi al declino, per scarso orgoglio borghese ed eccessiva inclinazione agli sprechi aristocratici), acquistato dagli imprenditori Pecoraino (azionisti de «Il Mondo» di Giovanni Amendola) e poi, dopo il buio del fascismo, rilanciato da una società editoriale vicina al Pci, «L’Ora», dalla metà degli anni 50 alla sua chiusura (marzo 1992) è stato, nei periodi migliori, un vero e proprio ponte tra la sinistra riformatrice, gli ambienti politici più aperti del mondo cattolico (la Dc di Piersanti Mattarella, per esempio) e i partiti “laici”, come i repubblicani di Ugo La Malfa. Una scelta politica e culturale nel nome d’una profonda modernizzazione della Sicilia e del Sud.

L’impegno contro la mafia è stato una conferma di questa visione. Per la legalità e il senso dello Stato, naturalmente, come nel miglior solco del pensiero meridionale e siciliano. Ma anche per lo sviluppo economico e sociale senza ipoteche di violenza. «La mafia dà pane e morte», era il titolo della prima grande inchiesta contro la mafia, nel 1958. La mafia come nemica di libertà, imprenditoria, innovazione. Una battaglia politica, economica, culturale.

«L’Ora», infatti, ha fatto da ponte anche tra borghesia colta e produttiva e ceti popolari. E tra l’orgoglio identitario siciliano (senza nostalgie “sicilianiste”) e la visione d’un Mediterraneo aperto alle trasformazioni.

Le firme dei collaboratori ne sono riprova: Leonardo Sciascia, Danilo Dolci, Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino, Renato Guttuso, Giuseppe Giarrizzo, Bruno Caruso, Emilio Isgrò e altri ancora. Per non dire della costanza delle interviste e degli interventi di uomini e donne di cultura italiani ed europei (Vittorini, Pasolini, Visconti, Maraini, etc.).

Eccolo, il punto chiave: l’importanza d’un giornalismo di inchiesta e di racconto della costruzione d’una pur faticosa e talvolta contraddittoria modernità. La qualità della politica contro il malgoverno e le complicità mafiose. Gli investimenti pubblici per la crescita economica e non gli sprechi clientelari. Il senso di responsabilità civile. La passione per una cultura critica, aperta e dialettica.

La storia de «L’Ora», insomma, è stato un vero e proprio Romanzo civile, per parafrasare il titolo di un libro di Giuliana Saladino, una delle sue migliori “firme”. E una riprova del fatto che, con originalità intellettuale, anche negli anni più difficili, il Sud ha saputo avere una voce forte, orgogliosa. E moderna.

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