cambiamento in azienda

L’organizzazione aziendale deve essere perfetta, come un’orchestra

di Gianni Rusconi

(AFP)

3' di lettura

Le imprese e le organizzazioni sono organismi instabili che cambiano in continuazione seguendo una routine, rispondendo a stimoli per lo più esterni. Il tema del change management è da sempre ampiamente dibattuto e lo è, se vogliamo, ancora di più in una fase di grande trasformazione. Spesso il cambiamento è visto come frutto di uno specifico progetto direzionale, anche se, in realtà, nelle aziende molti cambiamenti rispecchiano semplici risposte alle variazioni di eventi economici, sociali, politici, tecnologici e anche normativi che avvengono nel contesto in cui l'impresa opera. Oggi le esigenze di “changing” sono molto veloci, anche per via della velocità dell’innovazione tecnologica, e per ogni singola organizzazione diventa indispensabile saper governare le trasformazioni, seguendo un approccio metodologico.

Umberto Frigelli, Coordinatore Nazionale Centro Ricerche di Aidp (Associazione Italiana per la Direzione del Personale) è entrato nel merito della questione nel suo ultimo libro («Guidare il cambiamento organizzativo - Potere, razionalità, emozioni», edito da FS), spiegando l’importanza della leadership e affrontando la gestione delle complessità attraverso componenti fra loro strettamente correlate come il potere, la razionalità e l’emotività. Ma che ruolo riveste il digitale nel cambiamento? E quali sono le criticità più comuni da superare? E quali le competenze richieste ai manager? Lo abbiamo chiesto direttamente all’autore, inquadrando innanzitutto il contesto di riferimento, e cioè le aziende italiane e cosa sta concretamente all’interno di queste organizzazioni.

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«Il tema del cambiamento è tutt’altro che nuovo – spiega Frigelli – in quanto vi sono modelli di riferimento che risalgono agli anni '50 e '60. Oggi, però, ci sono elementi di scenario nuovi, perché le aziende hanno dovuto affrontare la crisi e non tutte sono riuscite ad intraprendere un percorso di internalizzazione e di apertura a nuovi mercati. L’altro tema che ha segnato, e sta segnando, molto le organizzazioni è la tecnologia. La digitalizzazione ha invitato, per così dire, le imprese a intraprendere attività già conosciute in passato, vedi l’automazione dei processi industriali, ma la grande differenza rispetto al passato sta nel fatto che, oggi, la trasformazione la portano avanti direttamente coloro che lavorano nel processo. Si tratta di un passaggio e di un cambio di paradigma molto importante, che impatta sui modelli di business e sull’efficienza (pensiamo alle logiche di vendita multicanale...) e che interessa, per forza di cose, la componente organizzativa».

Ci sono molti elementi che accompagnano e stimolano la necessità di cambiare e ciò che difetta spesso dentro le aziende è la mancanza di alcuni requisiti fondamentali per affrontare questa sfida. E c'è una causa ben precisa alla base di conflitti di potere e cattiva gestione delle componenti emotive e razionali e irrazionali dell’organizzazione.

«Il tessuto imprenditoriale italiano, formato nel 95% dei casi da aziende sotto i 250 dipendenti, presenta dei limiti oggettivi che non si risolvono senza una precisa volontà dell’imprenditore di cambiare. Molti hanno rischiato, molti ce l’hanno fatta grazie alla qualità dei prodotti ma senza un nuovo teorema organizzativo», osserva in proposito Frigelli. C’è quindi uno scoglio iniziale da superare per poter recepire e fare propri gli schemi del cambiamento e questo, secondo l’esperto, è l’imprinting che può e deve dare il manager. Se viene però meno la volontà di agire, anche la conoscenza approfondita della materia risulta vana.

C’è, inoltre, un’evidente e per altro nota dicotomia fra le imprese piccole e medie e quelle grandi. Nelle prime, soprattutto quelle a conduzione familiare, l’imprenditore intraprende il cambiamento solo se costretto da determinate circostanze; per le seconde i driver sono strategie di scenario o politiche imitative di fenomeni di tendenza o consolidati e per loro pesa il fatto di essere mediamente più abituate a gestire progetti di riorganizzazione affidandosi a consulenti fidati. Quello del cambiamento, insomma, è un work in progress che ha bisogno di attecchire anche negli ambienti dove (al momento) non ci sono le condizioni favorevoli per farlo.

«La tecnologia, da sola, non può cambiare tutto, è un elemento dei tanti: organizzazione, persone, ruoli, competenze sono e saranno sempre fondamentali. Non credo alla tecnologia - conclude Frigelli - come a una lampada magica, ma sono confidente che le aziende italiane possano fare un salto in avanti perché il tessuto è buono e sano e può crescere, anche grazie al contributo delle nuove generazioni».

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