ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùVerso lo scudetto

L’orgoglio azzurro di una città e di un quartiere divenuto simbolo

Processione ininterrotta dinanzi al murale di Maradona protagonista anche oggi, vivo nel ricordo di una napoletana che quel murale vide disegnare

di Annarita D'Ambrosio

3' di lettura

L'azzurro del 1987, quello del 1990 e quello di oggi. Io c'ero, napoletana doc, nel 1987, nel 1990 e pure oggi, a distanza, perché il lavoro mi ha portato altrove. Ma vince l'orgoglio, l'appartenenza, oggi più di ieri. Perché sono passati 33 anni? No, perché Napoli oggi è un'altra città, e lo sanno tutti i turisti che con i napoletani hanno festeggiato nei Quartieri Spagnoli, dinanzi a quel murale di Maradona, che fu, e io me lo ricordo bene, uno spontaneo omaggio per il secondo trofeo targato Pibe de Oro. Lo realizzarono i ragazzi del quartiere dove sono nata, con quell'arte di arrangiarsi che è per loro uno stile di vita: un ponteggio precario, rischiarato solo grazie a una illuminazione notturna di fortuna.

Erano gli anni in cui in quei quartieri abbarbicati sopra via Roma (via Toledo, la toponomastica resta una variabile storica, a Napoli) non saliva nessuno: solo 10 anni prima il terremoto aveva fatto quasi “abbracciare” quei palazzi concepiti dai loro costruttori come paralleli, distanti tra loro appena una manciata di metri, la cui unione è sancita ogni giorno dagli esili fili di plastica su cui la gente del quartiere stende i panni ad asciugare. Tanti gli edifici ancora puntellati, scarsa era in passato l'illuminazione, grande il senso di insicurezza. Non per me che sono nata lì, orgogliosamente, a pochi passi da quel murale.

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L'umanità nascosta da quel buio dei vicoli ha accompagnato la mia infanzia e mi ha protetto, ieri come oggi. Un quartiere di piccoli artigiani, abitanti dei “bassi”, alloggi a uso popolare fronte strada, nel vicolo pulito tutti i giorni perché quasi parte di quell'abitazione dove si viveva stipati in tanti. Troppi. Quando mi chiedevano di dove fossi ho sempre risposto di «Napoli-Quartieri Spagnoli», per anticipare la domanda successiva: «ma sei di Napoli-Napoli»? Sì, Napoli al quadrato, forse persino al cubo: cuore che pulsava anche sotto il buio dei lampioni rotti e destinati ad un futuro di rottamazione. Auto parcheggiate nei vicoli a destra e sinistra, neppure l'ambulanza riusciva a passare.

Eppure, era ed è lì il cuore della città. Ora lo hanno capito tutti, napoletani e stranieri. Per me questo scudetto perciò non è come gli altri. Le altre due feste furono spontanee, ma molto più nostre, potrei dire. Ora dinanzi a quel murale di via Emanuele De Deo l'omaggio è di tutti, una processione continua e costante, di napoletani dei quartieri alti, dei quartieri chic, spagnoli, francesi, tedeschi, americani e argentini, cugini acquisiti. Tutti accolti dall'umanità che pulsa e che sorride ai turisti in un bar, in un ristorante, in quei vicoli dove 30 anni fa si restava bloccati dal parcheggio selvaggio. L'illuminazione oggi c'è. E non solo quella pubblica.

E allora l'orgoglio di una città è anche il mio, una città che non tutti erano, e forse in alcuni casi sono ancora, in grado di capire, perché è una città unica, geniale. Genialità che vedi tanto negli occhi dei bambini, non più così numerosi forse come quando ero piccola io, quanto negli adulti che oggi quei bassi scuri hanno in molti casi ristrutturato e trasformato in ristoranti e B&b. “Vuoi negare i problemi?”, mi direbbe qualcuno qui al nord. No, ci sono, lo so. Ma tutti devono riconoscere che a Napoli esiste una umanità ed una intelligenza speciale che ti porta a sorridere sempre, una filosofia di vita che cerca soluzioni comunque, da quelle serie a quelle più banali.

Scudetto rinviato per il pari con la Salernitana? Deve “pippiare o pappuliare”, cuocere lentamente, come il ragù, scrivono sui muri. Napoli è una persona, credetemi, di cui manca l'abbraccio quando sei lontana. Una città dove Maradona c'era nel 1987, c'era nel 1990 e c'è pure oggi, vivo, più vivo che mai, nel murale a 200 metri dal mio palazzo, nei cori dentro e fuori lo stadio a lui dedicato, nel richiamo delle madri ai tanti figli che proprio come lui si chiamano: «Diego, a'mammà, vieni, è pronta la cena!».

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