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L’Ucraina ferita rimuove tutti i simboli dell’aggressore russo

Sopra il piedistallo sorretto da una colonna di granito rosa, c'è solo il vuoto. La statua di Caterina la Grande non c'è più. Al suo posto solo un'asta sottile alla cui sommità sventola una bandiera dell’Ucraina

dal nostro inviato Roberto Bongiorni

Ucraina, a Odessa rimossa statua di Caterina II

4' di lettura

ODESSA - L'hanno rimossa la notte. Nessun spettatore presente. Quasi a voler nascondere questa complessa operazione agli occhi di chi avrebbe provato sdegno per l’ennesima ferita inferta alla cultura dell’Ucraina.

Imballata, imbragata e portata via da una gru, la notte del 29 dicembre. Discretamente. Ora, sopra il piedistallo sorretto da una colonna di granito rosa, c'è solo il vuoto. La statua di Caterina la Grande non c'è più. Al suo posto solo un'asta sottile alla cui sommità sventola una bandiera dell’Ucraina.

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I passanti non sembrano farci caso. A quel vuoto. Quando accade una stranezza del genere si è portati a pensare ad un'azione a tutela di un monumento simbolico. Poco più di un anno fa, la statua di Caterina II era stata ricoperta fino al collo di sacchi usati per le trincee. Riempiti con la sabbia delle spiagge di Odessa. Quasi fosse un ruvido cappotto invernale per proteggerla dalle schegge in caso di bombardamenti.

Più volte oltraggiata

Quale è stavolta il vero motivo della sua rimozione? Proteggerla dalla rabbia dei più ferventi nazionalisti? Certo, i precedenti non mancano. Troppe volte, dopo l’invasione russa, questa statua è stata oggetto di atti di vandalismo. Macchiata con vernice rossa. Ricoperta di graffiti e insulti alla sua base. A volte sul suo petto è stata affissa la foto di Putin. Il 31 novembre scorso l'atto più oltraggioso: le immagini della statua della “zarina”, con la testa coperta da un cappuccio rosso da boia, ed un cappio che pendeva dalla mano, avevano fatto il giro del mondo.

Sono solo gli ultimi episodi del travagliato passato di questa statua che ha compiuto 122 anni. Realizzata nel 1900 sul progetto dell'architetto Yuri Melent'evich Dmitrenkor, peraltro cittadino di Odessa, fu presto abbattuta dai bolscevichi appena saliti al potere. Fu restaurata e rimessa al suo posto originario nel 2007. Ed oggi, nel 2023, la nuova casa di Caterina sarà un museo. No, non è stato per proteggerla dalla rabbia degli ucraini, esasperati da un'aggressione brutale, vittime di crimini di guerra, e quindi in molti sempre più ostili verso ogni simbolo della Russia. La rimozione della statua che raffigura Caterina fa parte di quel processo di de-russificazione che in Ucraina ha già portato alla rimozione di decine di statue. È un atto deciso dalle autorità, in questo caso di Odessa, che rappresentano lo Stato.

De-russificare l’Ucraina

De-russificare, dunque. Eradicare ogni simbolo che evoca la Russia. Non sono solo le statue. Il governo di Kiev ha vietato la rappresentazione di opere teatrali di autori russi. Bandita anche l’esecuzione di concerti con brani di musicisti sempre russi. Ritirati milioni di libri russi. Proibito la stampa in lingua russa di grandi romanzi classici russi, come le opere di Tolstoj o Dostoevskij .Poco importa che ad Odessa la lingua più parlata sia ancora il russo. E che se qualcuno ora presta più attenzione a parlarlo per strada, a casa si pranza, si cena, si comunica con la lingua di Tolstoj.

De-russificare, dunque. Poco importa che Caterina non fosse russa di nascita, bensì tedesca. Le sue colpe sono evidenti: è stata l’Imperatrice della Russia. È stata la donna che ha voluto centralizzare il potere. La regnante che ha eliminato la fastidiosa autonomia di cui godevano i cosacchi. La sua statua deve dunque subire la stessa sorte riservata a tanti altri personaggi accaduta in tante altre città. Che fossero intellettuali, scrittori considerati giganti della cultura mondiale, o politici.

Caterina rimossa dalla “sua” città

A Dnipro in gennaio è stata rimossa l'ultima delle otto grandi statue contenute nella lista. A farne le spese, il bronzo che raffigurava lo scienziato russo Mikhail Lomonosov. Eppure, nel caso della statua di Caterina, questa azione appare ancor più priva di senso. Se Odessa esiste lo si deve alla Zarina. Fu lei a prestare ascolto alle idee “visionarie” di quel nobile napoletano, l'ammiraglio Josè de Ribas, divenuto presto suo amante. L'amante italiano le suggerì di costruire un porto nella baia dove non c'era nulla se non un piccolo villaggio tataro sovrastato da una fortezza turca. Si permise di suggerirle anche il nome della città che nel volgere di un secolo sarebbe divenuta la perla del Mar Nero. Doveva chiamarsi Odessa, da Odysseus.

Caterina ne autorizzò la costruzione. La monarchia di San Pietroburgo contribuì alla costruzione del porto. E fu sempre Caterina ad attrarre da tutta Europa il capitale umano necessario per costruire quella città dinamica e cosmopolita – un calderone multietnico – che ancora oggi rappresenta un unicum in Ucraina. Odessa, la Praga del Mediterraneo, è tornata a vivere. Solo un'area che si affaccia sul mare, qualche decina di metri più in là della statua, è zona militare. La testa quasi nascosta da un pesante cappuccio, Maria, una odessita corpulenta sui sessant'anni, mi guarda incuriosita fotografare il piedistallo. Prima scuote la testa, poi, in un inglese stentato, sospira: «Caterina non è Putin. Non ci fa fatto del male».

Una giornata tersa. Il cielo è limpido. Il freddo pungente. Osservo nuovamente la colonna di granito rosa, il piedistallo, e quel vuoto pieno di Lei. Di Caterina, la fondatrice di Odessa. Poco più in là, sotto la scalinata Pot’omkin, si distende un mare divenuto chiuso.

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