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L’ultima beffa degli scandali Etruria e Venete

di Morya Longo

(Adobe Stock)

3' di lettura

Quando BancoBpm ha emesso pochi giorni fa un bond subordinato (del tipo Tier 1), un dettaglio non poteva non balzare agli occhi: il titolo offre agli investitori una cedola dell’8,75%. Il punto è che la pagherà solo agli investitori istituzionali: dato che i bond Tier 1 sono rischiosi per definizione (sono infatti i secondi dopo le azioni a saltare in caso di crack di una banca per la normativa sul bail-in) offrono interessi elevati e non sono accessibili ai piccoli risparmiatori. Com’è giusto che sia.

Eppure qualche elemento stride. O, quantomeno, fa riflettere: le banche per anni hanno collocato a piene mani obbligazioni (anche subordinate) alle famiglie. Per anni l’hanno fatto offrendo loro rendimenti troppo bassi rispetto ai rischi che i risparmiatori correvano, confidando nella loro inesperienza. Ora che invece emettono bond subordinati ai giusti rendimenti, i risparmiatori non possono più acquistarli. Per contro, però, possono comprare le azioni delle stesse banche, che sono più rischiose dei bond subordinati e hanno una remunerazione molto inferiore.

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Gli anni del parco buoi

Sebbene il blocco dei bond subordinati alle famiglie sia per molti versi condivisibile, dopo i danni che sono stati fatti al risparmio dai casi Etruria & C., ripercorrere questa storia è utile per capire come spesso in Italia si passi da un eccesso all’altro. Negli anni più bui della crisi le banche italiane faticavano a trovare sui mercati internazionali qualcuno disposto a prestare loro dei soldi. Questo è accaduto soprattutto dopo il crack di Lehman Brothers (2008 e 2009) e durante la crisi dello spread (2011 e 2012). In quegli anni, dunque, il sistema bancario italiano ha attinto dalle famiglie per raccogliere quei capitali che non riusciva a trovare altrove: in quei soli 4 anni, secondo i dati della Consob, hanno così collocato obbligazioni bancarie alla clientela retail per un totale di 578 miliardi di euro.

Il problema è che tra queste c’erano anche le obbligazioni di banche pericolanti, come quelle della Popolare Etruria, di Banca Marche e di tutte le altre finite in crisi. Ma il problema era anche un altro: quei bond destinati ai piccoli risparmiatori offrivano rendimenti molto più bassi rispetto ai pochi bond che le stesse banche vendevano agli investitori istituzionali. Per farla breve: i risparmiatori rischiavano tanto ma guadagnavano poco. Compravano vino scadente al prezzo del Barolo. I numeri, calcolati da Consultique per Il Sole 24 Ore, lo dimostrano.

Nel dicembre del 2010 la Popolare di Vicenza ha emesso un bond subordinato per risparmiatori con un rendimento del 4,60%. Eppure quello stesso identico giorno un bond sempre della popolare vicentina, destinato però a investitori professionisti, sul mercato secondario offriva un rendimento del 6,20%. Il 30 ottobre del 2013 - per fare un altro esempio - la Popolare dell’Etruria emette un bond subordinato, destinato ai risparmiatori, con un rendimento del 5%. Nello stesso periodo la ben più solida Intesa Sanpaolo emette un titolo analogo, ma destinato agli investitori istituzionali, che paga un rendimento ben più elevato: 6,75%. E di casi così ce ne sono a centinaia. Ai risparmiatori alti rischi e bassi rendimenti.

Gli anni del proibizionismo

Poi scoppiano gli scandali Etruria & C. E tutto cambia. Le banche frenano il collocamento dei propri bond alla clientela. Soprattutto i subordinati, che ormai sono appannaggio degli investitori istituzionali. Però si consente ai risparmiatori di comprare le azioni delle banche, che sono ancora più rischiose (sono capitale di rischio puro) e offrono remunerazioni oggi ben più basse. Un esempio rende l’idea. UniCredit ha emesso un titolo Tier 1 il 12 marzo con una cedola del 7,5% e a febbraio un bond subordinato Tier 2 (meno rischioso rispetto al Tier 1) che paga il 4,875%. Entrambi i titoli sono per istituzionali. Invece chi compra le azioni di UniCredit (anche i risparmiatori) ottiene un dividend yield del 2,1%.

È vero che paragonare azioni a strumenti ibridi come i bond subordinati è forzato. È vero che i risparmiatori percepiscono i bond come investimenti “sicuri”, per cui possono essere tratti in inganno dai subordinati. Ma ugualmente questo rappresenta - pur con tutte le giustificazioni tecniche del caso - un paradosso. Un nuovo eccesso, dopo quelli del passato. Forse un giorno si troverà un equilibrio, che consenta a chi ha profili di rischio adeguati di investire anche in bond subordinati come in azioni. O forse la bufera politica non si calmerà mai.

Riproduzione riservata ©
  • Morya LongoVicecaposervizio

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: Italiano, inglese

    Argomenti: Finanza, mercati azionari e obbligazionari

    Premi: Vincitore del premio State Street 2018 – Giornalista dell’anno, autore del miglior scoop

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