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«L’ultima casa accogliente», questo è il corpo degli Zen Circus

Il nuovo album della band pisana è una meditazione su ciò che siamo. Ossia: due gambe, due braccia, il tronco, la testa. Non è molto, ma neanche poco

di Francesco Prisco

Gli Zen Circus tornano con l’album «L’ultima casa accogliente»

3' di lettura

Hai dietro le spalle 20 anni di storia riassumibili, per brevità, nella parola coerenza. Hai una fan base transgenerazionale che, in un certo senso, è un popolo e si dà appuntamento ai concerti. Ti sei pure tolto lo sfizio di portare la provocazione sul palco di Sanremo e infilare dentro a un libro «anti-biografico» quella famosa storia chiamata coerenza. Poi è successo quello che sappiamo e siamo rimasti tutti congelati in una dimensione indefinita e indefinibile, e ancora di più chi vive di musica.

Ha il sapore di una meditazione su tutto questo L’ultima casa accogliente, ultimo album degli Zen Circus, uscito per Polydor Universal. A scanso di equivoci: quando si parla di rock, la band pisana qui in Italia è il punto di riferimento, la cosa più credibile spuntata fuori intorno agli anni Duemila e rimasta fedele a sé stessa, in un Paese di dischi che non si vendono come una volta e artisti che si sono già venduti da un pezzo. C’era quindi una grande curiosità intorno a questo nuovo album che arriva a due anni di distanza da Il fuoco in una stanza e va a chiudere una specie di trilogia «apocalittica» apertasi con La terza guerra mondiale (2016).

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Discorso intorno al corpo

L’ultima casa accogliente ruota intorno a quello che siamo. Ossia: due gambe, due braccia, il tronco, la testa. Qui si parla di corpo (fotografati sotto una luce blu cobalto in piano americano, sulla copertina, quelli di Appino, Ufo e Karim Qqru) perché comunque la vogliate mettere il corpo, più che mai messo in discussione in questi lunghi dieci mesi di pandemia, è tutto quello che ci resta. No, L’ultima casa accogliente non è un disco che parla della cosiddetta nuova normalità, ma è come se questo mondo ribaltato con cui facciamo i conti da febbraio fosse premessa dell’opera, quasi la causa scatenante. Le sonorità del nostro Circo Zen si fanno ancora più cupe, le liriche di Andrea Appino più pessimiste, affilate, a tratti ciniche. Le danze si aprono con le sonorità post punk di Catrame, meditazione urlata sull’impossibilità di essere liberi. Quello che ci resta in mano è il ricordo degli anni in cui fumare in gravidanza «non faceva alcun male». Amara pure Appesi alla luna, ballad sulla nostra incompiutezza costruita su un arpeggio nervoso.

Appino, «bestia rara»

Come se provassi amore è, di nuovo, una galleria di immagini che arrivano dal passato, ricordi che non hanno niente di consolatorio, anzi. Appino è una Bestia rara per sua stessa ammissione e, in quest’album, sembra volerci regalare pochissimi sprazzi di luce. Succede per esempio in Ciao sono io, dove la melodia è catchy e la memoria, una volta tanto, non ferisce, piuttosto si fa melanconica: «Se mia madre avesse vent’anni ed i capelli come in quella foto, le offrirei un cordiale, qualcosa da bere, certo, qualcosa che costa poco». Che puoi farci? «A vent’anni non hai idea di come andrà a finire». L’ultima casa accogliente, nella discografia della band toscana, non primeggia per perfezione, non vuol essere, forse per scelta, un disco «compiuto», ma è un’opera autentica che, come nelle migliori pagine della canzone d’autore italiana, tratta temi profondi senza prendersi troppo sul serio. Non ne vale mai la pena, pensandoci bene. «Se ci prendono per matti tu non preoccuparti, ci mettono un minuto a dimenticarci», direbbe il Poeta. E invece no: non sarà così facile dimenticarsi del Circo Zen.

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