PROVE ESTREME

L'ultima frontiera dell'eliski è un paradiso intatto che si trova in Turchia

La catena del Kaçkar ricorda le Alpi quando ancora non c'era il turismo di massa: chilometri di discese inaccessibili via terra. Qui il fuoripista è la regola.

di Tom Robbins

Eliski sulle montagne del Kaçkar, sopra Ayder, nella Turchia orientale.

9' di lettura

Si era fatto buio, camminavo sulla pista di atterraggio del piccolo aeroporto di Trabzon (Trebisonda, ndr) e un vento caldo mi soffiava alle spalle. Mentre aspettavo di veder comparire i miei sci sul nastro portabagagli, mi sentivo un po' a disagio. Trabzon è famosa, in Turchia almeno, per il burro, per il suo litorale affacciato sul Mar Nero e per l'ottima squadra di calcio. Non certo per le piste da sci. Me ne stavo lì, circondato da famiglie che si abbracciavano e uomini d'affari che rientravano a casa, quando qualcuno mi ha toccato il braccio: era un altro che, come me, aveva gli scarponi da sci a tracolla sulle spalle. «Hey», mi ha detto, con un accento americano e il tono di chi si sente un po' perso. «Sei diretto a Ayder?». Abbiamo cominciato a chiacchierare. Arrivava da San Francisco, aveva attraversato il mondo per godersi un'avventura in eliski e in molti vedendolo in quell'aeroporto avrebbero pensato che aveva preso la direzione sbagliata. In effetti, da 50 anni a questa parte, chi vuole fare eliski punta soprattutto al British Columbia e all'Alaska, dove è stato inventato questo sport.

La nostra destinazione, il paese montano di Ayder, invece, era l'estremo est della Turchia, più vicino a Baghdad che a Istanbul per intenderci. Scovare un paradiso sciistico incontaminato sembrava una prospettiva eccitante, ma anche altamente improbabile. Serpeggiava una certa ansia fra gli sciatori, circa una dozzina, che come me quella notte erano atterrati a Trabzon. Era la fine di gennaio, ma sulle Alpi faceva un caldo insolito. A Trois Vallées in Savoia (il più grande comprensorio sciistico del mondo, ndr), dove ero stato la settimana prima, tutti si lamentavano perché i laghi non si erano ghiacciati. Davvero avremmo trovato neve fresca centinaia di miglia più a sud? Ci avevano detto che Ayder era a due ore di auto, ma dopo 90 minuti il minibus viaggiava ancora lungo la costa, con i fari che ogni tanto illuminavano cani randagi e sgargianti sedie di plastica all'esterno dei locali di kebab. Poi finalmente abbiamo virato verso l'interno, costeggiando il fiume Firtina su per una valle ricoperta di boschi. Quando mancavano circa 20 minuti all'arrivo, è apparsa una striscia di neve mista a fango ai lati della strada. I miei compagni di avventura – che avrebbero potuto tranquillamente essere a St. Moritz o ad Aspen – ridevano in modo un po' preoccupato. Poi la fanghiglia è aumentata. La strada saliva e la temperatura scendeva, abbiamo tirato su i vetri dei finestrini.

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Quasi all'improvviso, dopo appena tre o quattro tornanti, il mondo è diventato tutto bianco. Il tempo di arrivare ad Ayder davanti al nostro hotel – assai visibile per i due elicotteri parcheggiati fuori – e già cadevano grossi fiocchi. Ad attenderci, Thierry Gasser, la guida svizzera che per prima ha avuto il sogno e la visione di portare l'eliski in Turchia e Sam Anthamatten, uno dei migliori sciatori freerider del mondo e il nostro capo guida; l'avevo già visto sul palco di un cinema nel West End, a Londra, mentre presentava il suo ultimo film. Sentivo crescere la speranza.

Un elicottero si leva in volo dopo avere scaricato un gruppo di sciatori.

Il mattino seguente, nuvole spesse minacciavano un “down day”, uno di quei giorni in cui gli elicotteri restano a terra e la pazienza degli sciatori viene messa a dura prova. Abbiamo proseguito con l'addestramento: le istruzioni di sicurezza durante il volo in elicottero, l'uso dei ricetrasmettitori e degli zaini airbag, i comportamenti in caso di valanghe. Un po' alla volta, le nuvole hanno cominciato ad alzarsi ed è arrivato il via libera a partire. In turbinio di preparativi frenetici, in pochissimo tempo ci siamo ritrovati sull'elicottero, completamente vestiti da sci, a sorvolare il minareto del paese, fino a uscire dalla vallata. Man mano che si sale, l'orizzonte si srotola davanti agli occhi: le valli si svelano una dopo l'altra; i boschi di abeti, carpini e rododendri lasciano il posto a pendii di un bianco puro che si estende per chilometri. Quando si atterra, per qualche secondo regna il silenzio: davanti hai una discesa immacolata, perfetta. Mi concedo un attimo di pura gioia, carico di quella che in fisica si chiama energia potenziale (l'energia che un oggetto possiede per la sua posizione o il suo orientamento rispetto a un campo di forze, ndr). E anche di sollievo: il sogno è diventato concreto.

Sul tracciato incontriamo subito un problema che pare surreale: troppa neve. Per evitare di sprofondare appoggio il peso sulle code degli sci, scendendo con una specie di slalom da ubriaco. Ci trasferiamo velocemente su un pendio orientato in modo diverso, dove il vento ha spazzato via un po' di neve lasciandone uno strato sufficientemente spesso perché ad ogni curva una nuvola si sollevi sopra le nostre teste. La neve è sufficientemente leggera, si scende in velocità senza sforzo, con la sensazione di essere liberi dalla forza di gravità. Continuiamo spostandoci su un nuovo versante della montagna, a volte fluttuando su distese abbaglianti e farinose, altre danzando fra boschi di betulle. Ogni tanto vedo con la coda dell'occhio Anthamatten che si lancia da un wind lip (una cresta di neve formata dal vento che snowboarders e freeriders usano per saltare, ndr). «Questo è vero sci freeride. Se sulla montagna vedi un punto che ti piace, vai a tracciarlo e poi corri a trovarne subito un altro! Adoro questo senso di libertà», mi dirà dopo.

I plateau sono punteggiati dagli yayla, dei piccoli villaggi di chalet in legno spartani dove i contadini d'estate portano gli animali a pascolare, proprio come succede sulle Alpi. In lontananza verso nord, spicca il blu del Mar Nero. Un paio d'ore più tardi, siamo di nuovo in albergo: si ride e ci si congratula a vicenda, mentre un gruppo di istruttori di sci di Megève in vacanza qui fa girare delle bottiglie di grappa di pere fatta in casa. Il bilancio è molto positivo: siamo riusciti a fare otto discese percorrendo qualcosa come 6mila metri verticali. I dubbi iniziali sono ormai cancellati da un'euforia allo stato puro. Come i veri viaggiatori, anche gli sciatori fanno di tutto per esplorare posti non ancora raggiunti da anima viva.

Un crinale innevato del Kaçkar.

L'altra faccia della medaglia dello sci alpinismo è la frustrazione di arrivare in vetta e trovarla già contaminata da altri. I nuovi modelli di sci rendono più facile e alla portata di molti il fuoripista e, di riflesso, i più capaci fuggono verso aree meno note, magari con strutture e servizi limitati, ma lontane dalla folla. Gli elisciatori sono l'avanguardia estrema di questo fenomeno, perché non hanno bisogno né di skilift né di piste. Negli ultimi anni, nuovi operatori hanno portato alla ribalta location sempre più “esotiche”: Islanda del nord, Siberia, Kamchatka, Albania. Il Covid-19 ha fermato temporaneamente le esplorazioni, ma nel settore si spera che il relativo isolamento offerto da questi luoghi, rispetto a un grande resort sciistico, possa salvaguardare la stagione. Gasser vive a Verbier e ha scoperto Ayder quasi per caso. «Stavamo facendo eliski nell'Asia centrale e, al ritorno, l'aereo ha sorvolato il Mar Nero. Sulla destra c'era il Caucaso che conosco bene, sulla sinistra i monti del Kaçkar. Ci siamo detti: andiamo a dare un'occhiata», racconta.

Dopo aver studiato le mappe, ha ipotizzato che le montagne del Kaçkar, parte delle Alpi Pontiche, potessero essere una base ideale per l'eliski: sono vicine all'Europa (quindi si evita il jet lag di un viaggio lungo), sono abbastanza alte da garantire che ci sia neve (è una catena montuosa che raggiunge i 3937 metri) e non lontane dal mare, il che garantisce un manto nevoso più stabile e sicuro. La scorsa estate Gasser ha trascorso diverse settimane esplorando la regione a piedi, con un'auto a noleggio e su un velivolo leggero per individuare i posti migliori. «Non volevamo proporre l'eliski dove esisteva già, ma essere dei pionieri, fare qualcosa di completamente nuovo».

Una vista della cittadina di Ayder.

Ayder è da sempre un crocevia tra le valli più basse e i yayla in quota: le famiglie si fermano qui a godersi le sorgenti naturali di acqua termale. Un'acqua ricca di minerali che sgorga a 50 gradi e rifornisce i bagni pubblici che si trovano accanto alla moschea. D'estate la cittadina è molto frequentata dai turchi di Istanbul e di Ankara che vengono a fare escursioni, picnic e rafting, e dai turisti del Medioriente, che lasciano il deserto per questi pascoli verdi pieni di fiori selvatici. D'inverno è molto più tranquilla. Ho passeggiato per la sonnolenta e un po' spoglia via principale, dove il fumo della legna saliva dai pochi caffè aperti: un passante mi ha salutato augurandomi As-salamu alaykum. Dal centro del paese potevo sentire le urla dei bambini che giocavano, lanciandosi da una discesa innevata su ciambelle di gomma, e il suono ritmico e vivace del tulum, la cornamusa locale. Ho visto un gruppo di ragazzi che, tenendosi per mano, danzava in cerchio attorno al musicista, pestando ritmicamente i piedi e sollevando da terra la neve – una scena d'altri tempi, se non fossero stati tutti intenti a filmarsi a vicenda con lo smartphone...

Ma anche qui, le cose potrebbero cambiare in fretta. Lo scorso agosto è arrivato in città un convoglio di limousine da cui è fuoriuscito il presidente Erdoğan: ha promesso una serie di interventi e infrastrutture tra cui linee elettriche interrate, la costruzione di un parcheggio sotterraneo appena fuori dal paese e la demolizione dei caotici edifici abusivi. A Rize, a soli 50 chilometri, l'anno prossimo aprirà un nuovo aeroporto. «Pensiamo anche di promuovere il turismo sciistico», ha annunciato il presidente turco. Ayder non è adatto a ospitare un grande comprensorio – si trova in una valle troppo stretta – ma le montagne tutt'intorno hanno grandi potenzialità. La Federazione Sci della Turchia ha commissionato uno studio alla francese Compagnie des Alpes per identificare siti per nuove aree, e Gasser ha fatto da consulente. La Compagnie paragona questo progetto allo “Snow Plan” francese del 1964, che portò a realizzare una serie di stazioni sciistiche all'avanguardia. È davvero possibile che le cose cambino in fretta, soprattutto se a sostenerle c'è un leader politico forte: nel 2005 ho fatto eliski nell'insignificante paesino russo Krasnaya Polyana. Nove anni dopo la Compagnie des Alpes ne aveva supervisionato la trasformazione in un complesso sciistico modernissimo che ha ospitato le gare di sci e snowboard delle Olimpiadi di Sochi. Forse succederà qualcosa di simile, o forse no, ma per ora le montagne del Kaçkar sono come erano le Alpi prima del turismo di massa – pensate al panorama sopra Zermatt o Courchevel, e togliete dall'immagine skilift, gente e tutto l'armamentario infrastrutturale delle stazioni sciistiche.

Tom Robbins (primo adestra) all'eliporto di Ayder.

Condividere un'area di 5mila chilometri quadrati con sì e no altri 20 sciatori in tutto è un privilegio raro. Lo abbiamo realizzato il terzo giorno, quando siamo volati un po' più lontano fino a vedere le vette del massiccio del Kaçkar, frastagliate e ricoperte di ghiacciai. Abbiamo sciato in una successione di conche dolci piene di neve farinosa e poi abbiamo fatto un picnic poco lontano dal nostro elicottero “parcheggiato” accanto a uno yayla abbandonato. Ormai, soprattutto d'estate, molti yayla sono occupati da pensionati che arrivano dalla costa in cerca di temperature più miti, ma molti vengono ancora usati dai pastori che producono formaggio e yogurt girandoli a mano in grandi zangole, tagliano l'erba con la falce, raccolgono il miele dalle arnie sistemate sui rami più alti degli alberi, fuori dalla portata degli orsi. A volte è facile dimenticare che, proseguendo per circa 300 chilometri, si arriva in Iran. Se il tempo è stabile si può sciare sul versante sud del Kaçkar e visitare l'unico yayla con una locanda aperta tutto l'anno. Noi abbiamo avuto condizioni meteo molto variabili ed è in queste circostanze che buone guide, ottimi piloti e un'organizzazione perfetta diventano cruciali.

Un momento di pausa per il tè con l'alpinista italiano Abele Blanc (destra) e il pilota Roland Brunner (al centro)

Sebbene Ayder sia una meta poco battuta, l'impresa di Gasser è un modello di precisione svizzera. Piloti e meccanici di Air Zermatt e uno staff di professionisti leader nel loro settore. Il primo giorno mi sono trovato a chiacchierare con un uomo che pensavo fosse una specie di custode e poi si è rivelato il noto alpinista italiano Abele Blanc, che ha conquistato tutti gli Ottomila. Una mattina, le temperature in aumento e i pendii in quota battuti dal vento hanno convinto Anthamatten a terminare in anticipo la giornata. L'elicottero ci ha riportato a valle, dove il bianco ha lasciato il posto al verde scuro dei boschi e poi siamo atterrati in mezzo a terrazzamenti con piantagioni di tè. Abbiamo pranzato in una guesthouse con pane e miele locale, vassoi di carne grigliata sulla brace, e un altro piatto che faceva pensare alle Alpi, il muhlama, una specie di fonduta. Al posto del formaggio sciolto lentamente in una pentola, qui il burro fuso in una padella di ottone viene versato con teatralità sul formaggio, mentre un vapore ricco e profumato avvolge la tavola. Il giorno dopo sono ripartito insieme a due membri del gruppo – due medici – che sembravano più che mai convinti dell'esperienza di sci ad est e, per quest'inverno, puntano al Kirghizistan.

Elemental Adventure propone 7 giorni di eliski ad Ayder a partire da 9.200 € per un gruppo di 12 persone.

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