L’Upb taglia le stime: la crescita si fermerà allo 0,4%. E domani arriva la sforbiciata Ue
di Nicola Barone
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Raffica di tagli alle stime sulla crescita italiana, ormai sempre più vicine allo zero. Secondo l’ultima Nota sulla congiuntura dell'Ufficio parlamentare di bilancio, il Pil italiano aumenterà solo dello 0,4 per cento nel 2019, mentre nel 2020 salirà dello 0,8 per cento, «stima che non incorpora l'attivazione delle clausole Iva». Ma sulle previsioni come puntualizza l'Upb pesano rischi al ribasso.
Anche Bruxelles vede nero sull’Italia. La Commissione europea si appresta a rivedere le stime di crescita per il 2019, con un drastico taglio della sua ultima previsione sul Pil di novembre (1,2%) e di quella inserita dal Governo in manovra (1%). Stando ad alcune anticipazioni, nelle previsioni economiche invernali che l’esecutivo Ue pubblicherà domani, il Pil 2019 dell'Italia dovrebbe essere rivisto a 0,2%. Un dato, precisano fonti europee, che tiene in considerazione anche gli effetti della manovra varata a dicembre.
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Dopo il deterioramento dell'andamento dell'economia nella seconda parte del 2018, l'attività risulterebbe «ancora debole nel trimestre in corso» che dovrebbe registrare un Pil «stagnante o debolmente negativo», secondo i tecnici dell'Upb, a cui seguirebbe una ripresa nella seconda parte dell'anno. «La domanda aggregata riprenderebbe gradualmente vigore nei trimestri successivi, in misura più intensa a partire dall'estate, sostenuta dalle misure espansive previste nella manovra di bilancio».
I fattori di rischio che circondano il quadro di previsione sono «molteplici» e non fanno sperare bene. L'andamento delle variabili internazionali «sconta infatti l'assenza di nuove restrizioni sul commercio internazionale, impatti complessivamente contenuti dagli attuali fronti di instabilità geo-politica (Brexit, crisi politica in Venezuela), oltre che l'ordinata normalizzazione delle politiche monetarie nelle maggiori aree valutarie». Eventuali tensioni in questi ambiti «potrebbero accentuare la volatilità sui mercati, con effetti depressivi sulla crescita internazionale e sulle esportazioni italiane». Ulteriori, rilevanti elementi di rischio riguardano i tassi d'interesse sui titoli del debito sovrano: «un più elevato livello, soprattutto se persistente, potrebbe comportare un inasprimento delle condizioni creditizie con conseguente perdita di fiducia, destinata a riverberarsi sulle decisioni di spesa di famiglie e imprese. Per contro, un calo dei rendimenti sui titoli pubblici favorirebbe l'espansione delle disponibilità di spesa e dell'attività produttiva oltre i ritmi stimati nella previsione».
Tutta l'Eurozona va giù, e anche la Commissione europea, dopo Bankitalia e Fondo monetario internazionale, prenderà atto della dinamica negativa. L'economia italiana crescerà quest'anno dello 0,6% dopo il +1,0% del 2018 per l’Fmi che conferma proprio oggi, nell'Article IV, le stime per il Belpaese valutando per il Pil un aumento inferiore all'1% nel 2020 e fino al 2023 (+0,9% nel 2020, +0,7% nel 2021, +0,6% nel 2022 e +0,6% nel 2023). Per gli analisti di Washington il rallentamento della crescita nel 2018 «riflette una crescita più lenta dell'area euro» e «una maggiore incertezza politica interna come evidenziato dagli elevati costi» del finanziamento del debito sovrano. Secondo il Fondo monetario sia le modifiche alle pensioni sia il reddito di cittadinanza «in coerenza con le preoccupazioni dello staff, comportano rischi per il potenziale di crescita e per i costi».
Il pessimismo del Fmi non piace affatto al vicepremier Luigi Di Maio, che replica con toni irritati. «Abbiamo già smentito tante voci in soli sette mesi e nel corso del 2019 smentiremo anche il Fmi - attacca su Facebook - chi ha affamato popoli per decenni, appoggiando politiche di austerità che non hanno ridotto il debito, ma hanno solo accentuato divari, non ha la credibilità per criticare una misura come il Reddito di cittadinanza, un progetto economico espansivo di equità sociale e un incentivo al lavoro». In serata, con toni più prudenti, anche il ministro dell’Economia Giovanni Tria respinge al mittente le critiche del Fmi: «Apprezziamo l'equilibrio delle valutazioni sulla crescita economica del paese. Non condividiamo invece altri giudizi. Il rapporto, in particolare, sottovaluta la necessità di sostenere la crescita in Italia e in Europa e il ruolo delle politiche adottate dal Governo a questo fine».
Quello che dipingeranno domani le nuove previsioni economiche di Bruxelles per l'anno che è appena iniziato non rassicura certo con la frenata della Germania e le ripercussioni a cascata su tutti gli altri, Italia inclusa. Per un nuovo esame in sede europea della situazione delle finanze pubbliche bisognerà invece aspettare fine maggio, dopo le elezioni europee. È di ieri il nuovo monito su Europa e euro del ministro dell'Economia Giovanni Tria. Sono «due preziose storie di successo da preservare» ma devono essere riformate «per correggere gli squilibri interni accumulati e le rigidità regolamentari che potrebbero metterne a rischio la tenuta futura».
Il nuovo ciclo di previsione include per tutti i paesi la valutazione dell'impatto delle misure di bilancio contenute nelle manovre di budget. Secondo le proiezioni iniziali l'Italia era accreditata dall’esecutivo come in grado di arrivare all'1,5%, prospettiva sulla quale oramai c'è disaccordo generale sia da parte dei previsori ufficiali e privati italiani sia delle organizzazioni economiche internazionali.
Nelle sue ultime stime di novembre, Bruxelles vedeva per la zona euro, nel 2019, una crescita che pur scendendo rispetto al 2018 (2,1%) si fermava comunque all'1,9%. Stessa stima del Fondo monetario che però, dieci giorni fa, ha portato l’asticella a 1,6%. Nell'Eurozona pesano secondo il Fondo la frenata del Pil italiano e tedesco e quella della Francia. Anche l'Ocse aveva annunciato qualche giorno fa una revisione in arrivo delle sue stime e con tutta probabilità l’Ue si allineerà all'analisi delle altre organizzazioni.
«Non possiamo dimenticare che in questo momento sul mercato europeo abbiamo grosse difficoltà di relazione con tutti i Paesi al livello politico, in particolare non possiamo rompere le relazioni con la Francia che è il nostro secondo mercato e vale il 10% dell'export». Il presidente di Assolombarda Carlo Bonomi è tornato sulla recente frenata del Pil italiano a margine di un evento nella sede dell'associazione degli industriali. «Siamo in un momento di recessione e le opportunità sono quelle che cogliamo tutti i giorni sui mercati internazionali», ma «avremmo bisogno di politiche che stimolino gli investimenti e ci facciamo stare tranquilli sui mercati internazionali».
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