GUARDARE AL FUTURO

L'upcycling non è solo una moda: il riciclo creativo di abiti e accessori

Nato come fenomeno di nicchia, oggi è piuttosto una strategia economica e innovativa. Così il riuso sembra arrivato nel fashion system per restare.

di Alexis Paparo

Uno dei pezzi proposti da Raf Simons nella sua nuova piattaforma e-commerce History of My World.

5' di lettura

“Il valore delle scorte in eccesso delle collezioni primavera/estate 2020 è stimato fra i 140 e i 160 miliardi euro nel mondo (tra i 45 e i 60 miliardi di euro solo in Europa), più del doppio dei livelli normali per il settore”. Il 6 maggio 2020, il report Fashion's digital transformation, now or never di McKinsey indicava la “gestione dello stock in eccesso“, sia per garantire liquidità sia per fare spazio a nuove collezioni, come una priorità assoluta per il settore moda. Chissà se è stato questo concretissimo dato economico – sommato alle spinte etiche, sociali e ambientali sempre più consistenti negli ultimi anni – a far emergere l'upcycling e il riciclo creativo come tendenza diffusa non solo nei piccoli brand di nicchia e di ricerca, ma anche nelle grandi case di moda.

Tecnicamente, significa realizzare abiti e accessori partendo dall'esistente, che si tratti di un abito finito, di stock di magazzino, di pezzi vintage o di tessuti e materie prime inutilizzate. A tessere per loro una nuova vita arrivano designer emergenti e non che li ibridano, li mixano, ne ripensano i volumi e le proporzioni, ispirati dalla possibilità di creare pezzi unici e irripetibili e, al tempo stesso, di avviare il proprio percorso creativo verso una strada sempre più sostenibile e rispettosa dell'ambiente e delle persone. E la risposta del pubblico? Il processo s'inserisce trasversalmente nel fenomeno del grande ritorno del vintage, un mercato che, secondo le stime (https://www.ilsole24ore.com/art/il-boom-mercato-vintage-acquisti-corrono-online-ADW3ng3) vale al momento 24 miliardi di dollari ed è destinato a superare i 50 miliardi nel 2023. Entrambi rispondono alle caratteristiche di sostenibilità, economia circolare e unicità che i consumatori cercano oggi. L'upcycling aggiunge un twist creativo che fa di quel capo un pezzo da collezione, e probabilmente anche un buon investimento.

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Come i capi della capsule collection Upcycled by Miu Miu, la cui base di partenza sono pezzi vintage anni Trenta - Ottanta, scovati in negozi e mercatini di tutto il mondo, poi rimodellati e decorati a mano nello stile della maison. Un totale di 80 abiti unici e numerati, disponibili in nove flagship store: Milano, Londra, Parigi, Mosca, New York, Shanghai, Hong Kong, Tokyo e St. Moritz.“Mi piace l'idea di aver dato il via, forse, a una consapevolezza diversa che trae gioia da un gesto di come questo. È stato davvero elettrizzante, per me e per il team, esplorare e muoverci liberi in questo contesto creativo. È un viaggio di scoperta, e adesso mi sento più coraggioso”. Così John Galliano descrive il processo dietro a Recicla, che ha debuttato nella collezione all'Autunno Inverno 2020-21 di Maison Margiela con l'obiettivo di diventare un progetto continuativo del brand. Ciascuna Recicla è un pezzo vintage selezionato personalmente da Galliano, restaurato e ricondizionato come capo o accessorio in edizione limitata, identificato da un'etichetta bianca che ne specifica l'edizione limitata, la provenienza e il periodo. Nella sfilata si sono visti cappotti tagliati fino a diventare lunghi colli, abiti costituiti assemblando pezzi diversi, borse di vimini vintage dagli anni Trenta ai Settanta, attualizzati attraverso interventi di upcycling e stivaletti creati a partire dal recupero e dal riutilizzo di pelli pregiate. Tessuti prodotti con materiali recuperati e riciclati, processi ad alto efficientamento di acqua ed energia e tracciabilità totale, attraverso il QR code presente sulle etichette di ogni capo. Sono le caratteristiche della prima capsule collection sostenibile di Emporio Armani, che guarda al mondo del workwear e declina come su parka, maglie e accessori il mantra I'm saying yes to recycling. Per avvicinare il pubblico alla sua filosofia sostenibile, la stilista Marine Serre ha pubblicato una serie di video sul suo canale Youtube per mostrare come broccati, denim, seta, crochet, pelle, maglieria provenienti da tappeti, tovaglie, lenzuola, sciarpe, T-shirt e addirittura asciugamani vengono rielaborati per dar vita ai capi della sue collezioni. “Per la primavera 2021, i pezzi rigenerati e riciclati rappresentano circa il 45 per cento dell'intera produzione: la sfida e l'obiettivo è arrivare a un 50 per cento stabile in tutte le nostre linee”, ha detto Serre a WWD magazine. Ancora più radicale la scelta di brand emergenti come Yekaterina Ivankova e 1/off Paris (remade). Entrambi recuperano abiti vintage, stock di magazzino e scarti di produzione anche di nomi iconici come YSL, Chanel, Burberry, Ralph Lauren, per ricombinarli e riproporzionarli in capi contemporanei che connettono il passato al futuro.

A dicembre, anche Raf Simons, già co-direttore creativo di Prada, ha lanciato una piattaforma e-commerce che, come si evince dal nome “History of My World”, vuole aprire una finestra sulla filosofia creativa e sul pensiero del designer attraverso una selezione di oggetti per la casa, abbigliamento e libri tutti in edizione limitata o frutto di collaborazioni speciali. Qui il concetto di upcycling è più sottile: non riguarda tanto (e solo) le materie prime, ma piuttosto le idee e la visione estetica, che vengono ripescate dal passato, rielaborate, mixate con il presente e spinte verso il futuro. La collezione di lancio, che comprendeva plaid, libri e candele per ambiente, è andata sold out in pochi giorni.

Da ultimo, due progetti di upcycling in ambiti totalmente diversi, ma che completano l'universo di possibilità e occasioni d'uso. Da un lato Decontoured di Kristina Spirk, che reinventa abiti degli stessi clienti. Si viene ricevuti su appuntamento presso il De Atelier di Milano con capi a cui si è molto legati, magari ereditati, che per varie ragioni non possono essere indossati così come sono. La designer studia come ridar loro vita tenendo conto dei desideri, delle emozioni e del vissuto di chi lo vestirà. Per destrutturare, sfaldare e ricomporre la designer s'ispira a Picasso, che attraverso la scomposizione e trasformazione delle figure e delle forme ha aperto la strada a nuovi orizzonti artistici ed estetici. Infine, il progetto Rebride di Annagemma Lascari, che da circa tre anni propone alle sue spose di progettare l'abito di partenza immaginandone già una seconda vita come party dress. “Per chi si rivolge a me, abbracciare la sostenibilità è una scelta che si riflette in ogni ambito della vita, quindi anche nel matrimonio. Non c'è donna che non abbia almeno in tubino nero nell'armadio, perché non affiancarlo a un bell'abito bianco? Ma riattualizzato e riproporzionato per essere vissuto per anni a venire”, spiega. “Un abito da sposa non cambia il mondo, ma porta con sé un messaggio. Nel momento in cui si dà vita a una nuova famiglia, è un gesto non solo simbolico indossare i propri valori di sostenibilità, rispetto per l'ambiente e per le persone”.

Al di là delle iniziative singole e delle spinte del mercato, che pure hanno determinato in pochi anni una rivoluzione nel settore, la svolta verso una circolarità completa dovranno forse imprimerla i legislatori. In Italia, un piccolo passo si è compiuto con un emendamento del decreto Cura Italia, che adesso estende i benefici fiscali della legge “antispreco” 166/2016 anche alle aziende che donano tessili, abbigliamento, arredamento ed elettronica. Ma il riferimento rimane la legge anti-spreco francese, che dal 2022 vieterà ai brand di moda di distruggere i prodotti invenduti (per un valore annuo di 650 milioni di euro, secondo il Ministero dell'Ambiente francese) obbligando i produttori, gli importatori e i distributori di nuovi prodotti a riutilizzarli, donandoli a società socialmente responsabili o dando loro una seconda vita.

Da trend a strategia economica e creativa. Con l'upcycling la moda cambia passo

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