L’uscita di Cottarelli e il campanello di allarme per Schlein: il rischio di un Pd a «vocazione minoritaria»
L’ex commissario alla Spending review lascia il Senato e avverte: «È innegabile che l’elezione di Schlein abbia spostato il Pd più lontano dalle idee liberaldemocratiche in cui credo». Prima di lui Fioroni, Chinnici, Borghi: ce ne saranno altri?
di Emilia Patta
I punti chiave
3' di lettura
L’addio di Carlo Cottarelli al suo scranno di senatore eletto come indipendente nelle liste del Pd, anticipato nella serata di domenica 7 maggio dal Sole24ore.com, era nell’aria. Ma è comunque un colpo grosso per il partito e per la neosegretaria Elly Schlein: direttore del dipartimento Affari Fiscali del Fondo Monetario Internazionale dal 2008 al 2013, poi commissario straordinario del governo (a Palazzo Chigi sedeva Enrico Letta) per la revisione della spesa pubblica, fu scelto dal presidente della Rebubblica come incaricato premier di un possibile governo tecnico dopo le elezioni del 2018, nei giorni in cui Matteo Salvini e Luigi Di Maio non riuscivano a mettersi d’accordo per la nascita del governo giallo-verde infine presieduto da Giuseppe Conte.
L’uscita con stile di Cottarelli: vado nelle scuole a spiegare la politica e l’economia
Non c’è dubbio che il civil servant dello Stato - fortemente voluto dall’ex segretario del Pd Letta nelle liste elettorali per riequilibrare a “destra” l’offerta elettorale dopo la decisione di candidare i dirigenti bersaniani di Articolo 1 - esce con grande stile: lascia il Parlamento - ha spiegato - perché eletto nella quota proporzionale e quindi non scelto direttamente dagli elettori in un collegio e non aderisce ad altri gruppi parlamentari. Semplicemente va a fare altro: «Vado a dirigere a titolo gratuito un nuovo programma per l’educazione nelle scienze politiche e sociali rivolto agli studenti delle scuole superiori offerto dall’Università cattolica di Milano. L’obiettivo è svolgere 150 visite all’anno, forse di più», scrive l’interessato in una lettera a Repubblica in cui spiega le ragioni della sua decisione.
Il j’accuse a Schlein: ora Pd più lontano dalle idee liberaldemocratiche
Ma è chiaro che la concomitanza dell’impegno pro bono è solo una scusa, una via di uscita appunto. È lo stesso Cottarelli a elencare i motivi politici che lo vedono distante da Elly Schlein e dalla svolta a sinistra impressa al Pd (non a caso Cottarelli aveva appoggiato Stefano Bonaccini nella campagna congressuale): «È innegabile, basta vedere la composizione della nuova segreteria, che l’elezione di Schlein abbia spostato il Pd più lontano dalle idee liberademocratiche in cui credo... una questione chiave è il ruolo che il “mertio” deve avere nella società. Il principio del merito era molto presente nel documento die valori del pd del 2008, l’ultimo disponibile quando decisi di candidarmi. manca invece in quello approvato a gennaio 2023 e nella mozione Schlein per primarie». Non solo merito: non c’è condivisione sulle critiche al renziano Jobs act, sulle posizioni della segretaria in merito ai termovalorizzatori, utero in affitto, nuclerare...
Fioroni, Chinnici, Marcucci, Borghi: è davvero una fuga?
Il primo a lasciare il Pd è stato uno dei fondatori, il cattolico Giuseppe Fioroni. Poi è stata la volta dell’europarlamentare Caterina Chinnici, figlia del magistrato ucciso dalla Mafia, passata a Forza Italia. Seguita dall’ex capogruppo in Senato Andrea Marcucci, in avvicinamento a Italia Viva di Matteo Renzi in vista delle europee del 2024. Da ultimo, dopo vari avvertimenti a suo dire inascoltati, è uscito il senatore Enrico Borghi, anche lui passato a Italia Viva. Ovvio che Renzi gongoli («Il Pd di Elly Schlein perde pezzi. Dopo Marcucci, Fioroni, Chinnici, Borghi oggi è il turno di Cottarelli. Io dico che è solo l’inizio. Diamo tempo al tempo e il quadro politico di questo Paese cambierà profondamente»), ma se anche un indipendente come il sindaco di Milano Giuseppe Sala avverte che l’uscita di Cottarelli «non è un bel segnale» («si sente di appartenere a una linea liberale e progressista che evidentemente non vede rappresnetata») il campanello di allarme a Largo del Nazareno dovrebbe suonare. Come avverte il presidente democratico del Copasir Lorenzo Guerini, capo della corrente di minoranza Base riformista: «Le parole di Cottarelli evidenziano un disagio politico: sarebbe sbagliato sottovalutarle e mostrare indifferenza».
Il campanello d’allarme per Schlein e il rischio della «vocazione minoritaria»
C’è ancora posto per i riformisti e i cattolici nel Pd fondato da Walter Veltroni ormai 15 anni fa proprio sul presupposto dell’incontro di culture diverse? O la segretaria ha già fatto la sua scelta definitiva al fianco della Cgil di Maurizio Landini e al M5s di Giuseppe Conte sui temi del lavoro, e non solo? Chiaro che il Pd di Schlein si è posto per ora l’obiettivo di recuperare terreno a sinistra, anche a scapito del M5s, e i sondaggi premiano al momento la strategia, così come il boom di iscrizioni dopo il congresso (più 20mila). Ma dietro il disagio dei riformisti e dei cattolici in fuga potrebbe esserci anche il disagio di una parte degli elettori tradizionali del Pd. Per questo, al di là delle scelte di singole personalità, i segnali in questa direzione non dovrebbero essere sottovalutati a Largo del Nazareno: il rischio è quello di condannare il Pd alla “vocazione minoritaria” e perdere così di vista la costruzione dell’alternativa per tornare al governo.
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