Scenari 2022

L'utilità dei “debt-for-climate swap”

di Beatrice Weder di Mauro

(Adobe Stock)

6' di lettura

E se ci fosse una bacchetta magica per risolvere la crisi climatica, la restrizione del debito provocata dalla pandemia e la necessità di incoraggiare gli aiuti allo sviluppo tutto in una volta?

E' certamente accattivante l'idea di poter contrastare queste problematiche tutte insieme, dato che dobbiamo già mobilitare i finanziamenti a favore del clima da parte dei paesi ricchi (che sono i principali inquinatori) al fine di sostenere i paesi a basso reddito (che subiscono le maggiori conseguenze del cambiamento climatico). Il Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha detto che le “principali economie hanno un dovere specifico nei confronti dei paesi meno sviluppati e più vulnerabili”, mentre l'Amministratore delegato del Fondo monetario internazionale Kristalina Georgieva ha detto che “è logico” cercare di gestire le pressioni del debito e la crisi climatica insieme. L'idea è quella di creare dei “debt-for-climate swap”.

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L'idea non è nuova e una proposta simile era già stata testata dagli anni '80 in poi. Durante quel decennio andato perso, i cosiddetti “Brady bond” rappresentavano lo strumento principale nel “menù” internazionale tra le forme di ristrutturazione del debito. I debitori utilizzavano infatti i prestiti ufficiali del FMI e della banca Mondiale per acquistare le obbligazioni del Tesoro statunitense in qualità di garanzia, il che permetteva loro di scambiare i debiti bancari esistenti con uno sconto significativo per dei “Brady bonds” garantiti e negoziabili. In quel periodo il menù comprendeva anche i “debt-for-climate swap”, che rappresentavano tuttavia solo l'equivalente dei piatti di contorno all'interno del menù.

All'inizio, questi strumenti furono strutturati come accordi tra le organizzazioni per la conservazione, i creditori e i governi debitori. Nel 1987 la Conservation International utilizzò i fondi dei donatori per acquisire 650.000 dollati del debito esterno boliviano al prezzo scontatissimo di 100.000 dollari. In cambio, la Bolivia si impegnò a proteggere la riserva della biosfera del Beni elargendo 250.000 dollari (in valuta locale) per la sua gestione. Degli approcci simili sono stati utilizzati per creare una riserva marina nelle Filippine e proteggere i gorilla di montagna in Uganda.

L'attrattiva per i “debt-for-nature swap” da parte delle organizzazioni per la conservazione è durata finché hanno potuto acquistare il debito in sofferenza a prezzi scontatissimi e garantire la leva finanziaria per i finanziamenti da parte dei donatori. Ma poi sono inziati i dubbi rispetto all'efficacia e alla possibilità di durata di queste strategie, pertanto le somme coinvolte sono sempre state basse.

L'accordo più consistente è stato il “debt-for-nature swap” pari a 580 milioni di dollari con la Polonia nel 1992. Quest'accordo ha istituito un nuovo modello creando un fondo fiduciario centrale per la supervisione, la selezione, l'implementazione e il monitoraggio dei progetti di conservazione. Uno strumento simile è attualmente utilizzato in Belize che permette agli obbligazionisti delle 2034 obbligazioni, pari a 533 milioni di dollari, di “pagare le banconote con uno sconto pari al 45% al committente” impegnandosi nello stesso tempo a stanziare 23,4 milioni di dollari per un conto di sovvenzionamento a favore della conservazione dell'ambiente marino.

Nonostante questo recente esempio incoraggiante, i “debt-for-nature swap” non sono mai decollati negli ultimi 30 anni. Tuttavia, le dimensioni sia del debito che delle questioni climatiche sono cresciute enormemente e il numero di eventi estremi ogni anno è infatti raddoppiato, triplicato, e persino quadruplicato dagli anni ottanta.

Per fortuna, le analisi prodotte dal Pannello intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) sono oggi ampiamente accettate. I rapporti dell'IPCC mostrano che il “budget del carbonio” a livello mondiale, volto a mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1.5° Celsius, si sta esaurendo rapidamente. Il mondo può quindi permettersi di emettere solo 300 gigaton in più di diossido di carbonio e al tasso attuale di produzione delle emissioni pari a circa 35 gigaton all'anno ci rimangono meno di dieci anni.

Molte aziende e paesi, sentendo finalmente l'urgenza del problema, hanno adottato dei target di zero emissioni nette, e il settore finanziario ha iniziato ad adottare criteri di investimento ESG (ambientali, sociali e di governance). Ma le responsabilità che abbiamo di fronte sono sconfortanti. Secondo le stime di Mark Carney, l'attuale Rappresentante speciale per l'azione e la finanza climatica, la transizione globale a un'economia net zero richiederà un finanziamento annuale pari a 3,5-4,5 trilioni di dollari.

Anche il debito in sofferenza è a livelli storici. Durante la pandemia, il debito complessivo dei paesi a basso reddito è aumentato del 12% arrivando a 860 miliardi di dollari nel 2020. Quando la pandemia ha colpito i paesi, la minaccia di un arresto improvviso dei flussi di capitale e di una crisi dei mercati finanziari emergenti era reale. Il G20 ha però risposto adottando l'iniziativa di sospensione del servizio del debito, che è stata utlizzata da più di 40 paesi per dilazionare il ripagamento del debito. Tuttavia, un' analisi del FMI su 70 paesi a basso reddito ha evidenziato che 7 di questi sono già in sofferenza di debito e 63 sono a un rischio alto o moderato di sofferenza del debito.

Un nuovo menù

Un problema legato al tentativo di contrastare il cambiamento climatico e il debito con un singolo pacchetto è che le due questioni non sono perfettamente allineate. Il finanziamento per il mitigamento del clima è più necessario nei paesi ad alto reddito, con circa un terzo degli investimenti necessari per la transizione localizzati in Europa e negli Stati Uniti e più della metà nella regione dell'Asia-Pacifico, soprattutto in Cina. Con poche eccezioni, il contributo dei paesi a basso reddito al riscaldamento globale è invece trascurabile. L'abbinamento tra i bisogni di finanziamento e l'azione di contrasto alle esternalità climatiche è pertanto, nel caso migliore, imperfetta.

D'altra parte, dato che molti paesi a basso reddito sono altamente esposti al cambiamento climatico, avranno bisogno di finanziamenti per il processo di adattamento. Parte di questi finanziamenti potrebbero essere forniti attraverso la riduzione del debito, ma, ancora una volta, l'abbinamento tra i bisogni di finanziamento e le sofferenze del debito è imperfetto. Se da un lato, infatti, paesi come Haiti, il Niger e il Sud del Sudan si trovano ad affrontare dei debiti elevati ed enormi rischi climatici, dall'altro molti altri devono affrontare solo uno di questi problemi.

Una questione correlata è se i “debt swap” siano il modo più efficace per garantire un sollievo economico. Di solito i paesi ricchi garantiscono la riduzione del debito bilaterale senza legarlo a condizionalità rispetto alle spese dei beneficiari. Se vogliono sostenere una spesa specificatamente legata all'adattamento climatico nei paesi a basso reddito, possono farlo tramite trasferimenti fiscali condizionati e sovvenzioni. L'idoneità della riduzione del debito condizionata quale strumento di finanziamento per i paesi a basso reddito non è quindi sempre ovvia.

E'invece ovvio che i paesi ricchi siano responsabili della crisi climatica e che abbiano pertanto la responsabilità morale di assistere i paesi più poveri nella gestione delle conseguenze. La comunità internazionale fa bene a esplorare le opzioni per il trasferimento delle risorse per la finanza climatica ai paesi a basso reddito. Visto il mancato allineamento tra i rischi e i bisogni di finanziamento, sono necessari una serie di strumenti per i paesi a medio e basso reddito.

I “debt-for-climate swap” possono quindi essere un'opzione tra le altre e potrebbero essere implementati utilizzando una struttura simile agli strumenti “Brady”che sono in grado di risolvere il doppio problema del ridimensionamento e dell'incoraggiamento dei flussi da parte del settore privato. La mobilitazione dei fondi privati e pubblici sarà infatti essenziale e richiederà la creazione di mercati liquidi per le obbligazioni del clima e probabilmente alcune forme di supporto al credito in “formato Brady” tripartitico.

Per agevolare questo processo, l'FMI e le banche di sviluppo multilaterale potrebbero strutturare la riduzione condizionata del debito e fornire diverse modalità di supporto. Ad esempio, l'FMI potrebbe usare i diritti speciali di prelievo riciclati per prestare ai paesi a basso reddito le risorse necessarie per acquisire le garanzie per le obbligazioni verdi “Brady”. I creditori privati e pubblici dovrebbero poi concordare di scambiare le proprie obbligazioni, con degli sconti significativi, con queste obbligazioni verdi fornendo ai paesi lo spazio fiscale per poter spendere su progetti climatici. La gestione e il monitoraggio della riduzione e gli investimenti climatici potrebbero essere portati avanti attraverso il modello dei fondi fiduciari che sono stati testati in precedenti accordi.

Un “Green Brady Deal” ambizioso potrebbe di fatto mobilitare i flussi pubblici e privati per la finanza climatica in paesi che soffrono sia di debito elevato che di rischi climatici. Non sarà una bacchetta magica e neppure la portata principale del menù, ma potrebbe fare un'enorme differenza per alcuni dei molti paesi vulnerabili.

Traduzione di Marzia Pecorari

Beatrice Weder di Mauro, professoressa di economia internazionale presso il Graduate Institute, con sede a Ginevra, è Presidente del Centro di ricerca sulla politica economica.

Copyright: Project Syndicate, 2021.

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