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La banda ultra-larga di provincia muove il Pil: il caso Go Internet

di Simone Filippetti

4' di lettura

Dalle città di provincia, dalle zone rurali e più marginali del paese che parte la rivoluzione digitale. E’ l’Italia di Serie B, quella non servita dalla fibra ottica, mai cablata, lontana dalle grandi metropoli. E che però vuole lo stesso essere connessa al mondo moderno della società digitale. Internet veloce, nell’anno domini 2017, è l’equivalente del l’acqua potabile o della corrente elettrica negli anni ’50: un bene di prima necessità.

Ed è proprio nell’Italia del Digital Divide, nelle zone più periferiche o isolate che la domanda è più forte e la gente è disposta a spendere per viaggiare alla stessa velocità delle zone più fortunate. Una volta era quasi impossibile: bisognava cablare, con costi proibitivi, posti irraggiungibili e non profittevoli. Oggi la banda larga viaggia senza fili, con un segnale radio come la tv o il telefonino. In più l’Enel, con Open Fiber (Eof), ha avuto l’idea di aprire le sue centraline elettriche, una rete già costruita e presente in tutta Italia, per farci passare la fibra. Semplice, come tutte le idee geniali.

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In quanto società pubblica, Eof si fa carico anche di costi enormi che solo uno Stato può sobbarcarsi. Da diverse città italiane (Perugia, Bari, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Napoli, Padova, Palermo) si è inaugurata la nuova “Autostrada del Sole” per il paese: una rete in fibra ottica super veloce. E soprattutto, aperta a tutti. L’Obiettivo è arrivare a 250 città e 7,5 milioni di abitazioni. Chiunque può affittare fibra dalla rere di Open Fiber per vendere la banda larga. Ovviamente la cosa premia di più le piccole telco e gli operatori alternativi, che non hanno una rete proprietaria ad alta velocità (come invece una Telecom Italia).  E, soprattutto, muove l’economia, perché i tassi di crescita della banda larga in provincia sono molto più alti di quanto non faccia l’economia del paese in generale, con il Pil fermo allo Zero virgola.

Uno dei «casi di studio» più interessanti, come esempio di start-up e di sviluppo, è quello della matricola Go Internet, piccola società umbra. La Telco regionale, sbarcata nel 2014 sull’Aim, il listino di Piazza Affari dedicato alle micro-aziende che altrimenti non avrebbero sbocchi sul mercato, è la dimostrazione del buon uso della Borsa per far crescere le imprese. Go Internet ha ritmi di crescita da «economia cinese»: nel 2016 ha superato i 6 milioni di euro di giro d’affari (6,3), con un balzo del 20% rispetto al 2015 e va verso i 40mila clienti. Quando sbarcò in Borsa, quasi tre estati fa, i ricavi erano meno di 2 milioni e non si contavano 20mila clienti: Go Internet era un’azienda da regno di Lilliput.

«Il 2016 si è concluso con apprezzabili risultati che evidenziano la costante e continua crescita della società» ha commentato il presidente , e fondatore, Giuseppe Colaiacovo, la cui famiglia gestisce un impero del cemento in Umbria, la Colacem. Suonerebbe come la classica frase fatta e banale, se non fosse che la piccola matricola in 3 anni ha triplicato i numeri. La redditività è di 2,51 milioni, che sono sì briciole in valore assoluto, ma segna un +25% sul 2015, e soprattutto ha una marginalità che sfiora il 40%, valori che sul mercato solo Telecom Italia è in grado di sfoggiare. Per costruire questa piccola Telco profittevole, in tre anni sono è stato investito un capitale di circa 10 milioni di euro (più 2,35 milioni di debiti, peraltro in calo perché erano 3 milioni nel 2015).

A inizio anno hanno giocatoin casa, lanciato internet in banda “ultra larga” in modalità “Fiber To The Home” a Perugia, grazie proprio a Open Fiber. La cosa ha messo fine anche a un’asimmetria di Go Internet: azienda umbra che aveva licenze wireless solo nelle Marche e in Emilia Romagna (e non nella propria regione).

Per ora la politica del «Piccolo è bello» sta funzionando. Archiviata, con successo, la ricapitalizzazione da 4 milioni, che ha visto la famiglia Colaiacovo diluirsi e l’ingresso di nuovi soci (la società WN srl e il fondo di investimento Compass) ha ottenuto altra liquidità dalle banche: un finanziamento da 1,75 milioni, nei primi mesi dell’anno. Risorse con cui Go Internet ha debuttato nell’“Instant Fiber”, nuova tecnologia (basata su stazioni radio a 4,5G ) in grado di rivoluzionare l’internet mobile: offre la stessa velocità della fibra ottica ma con la facilità e l'immediatezza della connessione wireless. E’ la prima Telco che lo fa in Italia.

Le dimensioni sono ancora quelle di una micro-cap, ma l’azienda si sta strutturando. Un segnale viene anche dal nuovo cda, eletto il mese scorso, che riflette il riassetto azionario dop l’aumento di capitale, e una composizione da «big» di Borsa. Oltre al fondatore Colaiacovo , confermato presidente, alla sorella Daniela, e ai due manager, gli ex «golden boy» di Aria Dsl, la clamorosa start-up che vinse tutte le licenze WiMax (e poi è stata fusa con Tiscali) Alessandro Frizzoni e Alessandro Ronchi, in consiglio sono arrivate le new entry Morena Mariotti, espressione della famiglia Colaiacovo, e due consiglieri indipendenti di peso: Giulio Antonello, vecchia conoscenza di Piazza Affari (è stato l’Ad di Alerion Clean Power e di altre società del gruppo Luigi Agarini e del «Cardinale» della chimia Giuseppe Garofano); e il decano del private equity Maurizio Perroni (con un passato nei fondi Quadrivio e Cape Live, nonchè ex membro dell’Aifi).

I manager di Go Internet

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